I Buoni Cugini Editori di Anna Squatrito
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Antonio Petrucci collabora con La Libertà da quasi vent’anni. È un giornalista pubblicista dal 1984 ed ha pubblicato articoli e saggi su giornali, riviste e volumi collettivi. Si occupa prevalentemente di filosofia, storia e letteratura, ma anche di attualità: la guerra in Ucraina e la condizione femminile in Iran sono soltanto alcuni dei temi su cui su queste pagine di famiglia si è cimentato. Negli ultimi anni, poi, Petrucci ha dato alle stampe un tris di romanzi: Lottando con l’angelo, Forse nel cuore della notte e L’estate dei microbi (quest’ultimo con la sorella Giulia). È appena uscito, in questa estate dal clima instabile, La notte dei pesci volanti per i tipo dell’editrice I Buoni Cugini di Palermo (102 pagine, 15 euro): otto storie ambientate sullo sfondo del mare palermitano, dove la stagione dell’adolescenza è rivissuta e dipinta con la consapevolezza un po’ nostalgica dell’età adulta.
Petrucci, dopo tre romanzi, questo è un libro di racconti?
Sì e no. La notte dei pesci volanti è un “quasi-romanzo”. Più che di otto racconti si tratta di otto episodi con gli stessi personaggi, gli stessi luoghi e lo stesso periodo storico.
Vogliamo parlare dei personaggi?
Sono due: Natale, che è l’io-narrante, e l’inseparabile cugino Achille; due ragazzi sui tredici/quattordici anni, che vivono l’adolescenza come una grande avventura… sullo sfondo del mare, del Golfo di Palermo e di uno storico stabilimento balneare.
Ti sei ispirato alla realtà?
In un certo senso, sì. Mi sono ispirato alle storie che mi raccontava mio padre quando ero bambino. Storie della sua adolescenza, appunto. Nel mio libro, l’ho voluto come personaggio e come narratore. Ho perfino mantenuto il suo vero nome, e quello degli altri personaggi…
Dunque, tuo padre ti raccontava delle storie?
Era un grande narratore, cioè un grande creatore di miti. L’ho preso anche come modello di stile: almeno all’inizio, ho cercato di imitare il suo modo di raccontare, ce era lirico e a volte anche un po’ surreale. Anche le immagini in copertina e nel retro del libro sono tratte da quadri di mio padre.
Ma, nel passare dal racconto orale a quello scritto, hai dovuto cambiare qualcosa?
Sì, perché fra la trasmissione orale e quella scritta ci sono molte differenze. La scrittura perde il supporto della voce e della mimica; obbliga a una maggiore attenzione alla psicologia dei personaggi e all’intrecciarsi degli eventi. Scrivere costringe a una maggiore coerenza fra l’inizio, lo sviluppo e la conclusione di una storia. Inoltre, alcune storie mi si presentavano alla memoria come quasi complete, mentre altre avevano bisogno di una più forte elaborazione.
Possiamo fare un esempio?
Va bene. Prendiamo come esempio il secondo episodio, “Le vongole di Achille”. Achille pesca le vongole per condirsi gli spaghetti; la pesca è faticosissima; commette l’errore di consegnare il sacchetto con le vongole a Natale, il quale le regala a una ragazza bellissima… La storia è vera e anche la conclusione della storia è vera, con la madre della ragazzina che butta le vongole… Io ho riempito il vuoto fra l’inizio e la fine. Cioè ho immaginato la reazione di Achille al “tradimento” e la riappacificazione fra i cugini.
Tuo padre aveva davvero un cugino che si chiamava Achille?
Te l’assicuro. Io l’ho conosciuto quando era adulto, un po’ corpulento, coi baffi, simpatico narratore a sua volta… ma nelle storie di mio padre era la sua spalla, il suo alter-ego, aveva qualcosa di mitico.
Qual è l’episodio che ti pare più significativo?
Tutti gli episodi sono segnati da una “rivelazione”. Forse io preferisco “Un tipo speciale”, la storia di un misterioso cane che resta per qualche mese con Natale ma corre al porto ogni volta che vede arrivare una nave… Perché aspetta il suo “vero” padrone, un marinaio… Natale gli attribuisce i suoi sentimenti, la fedeltà all’amore e il dolore per l’abbandono o la scomparsa di una persona cara. Mi pare dunque che la storia abbia un “nocciolo segreto”. Un’altra storia straordinaria è “Non era un fantasma”, la storia di una ragazza cacciata dal marito… Siamo in Sicilia e, soprattutto, siamo all’inizio degli anni Trenta…
…siamo dunque sotto il fascismo…
E infatti un bel giorno arriva allo stabilimento balneare un uomo che la polizia vuole arrestare perché ha scritto che il Duce è un mascalzone…
Mi pare un libro sull’adolescenza, che però affronta temi da adulti. Per concludere, dimmi del mare…
Ah, il mare di Palermo! Avresti dovuto vedere… una meraviglia fino agli anni Sessanta… pesci, granchi, vongole e un profumo di alghe… Adesso la balneazione è proibita giacchè le acque del Golfo sono considerate tutte acque portuali. Sì, il mio libro è pieno di mare… e forse di nostalgia… è un omaggio a come era il mare e a come, forse, potrebbe ancora essere.
Edoardo Tincani