Tre stagioni, quarantuno racconti, uno specchio su cui riflettersi, il sali
e scendi da una macchina del tempo per rivivere, sniffare, odorare,
sentire sulla pelle e nell’anima, umori relegati nei meandri dell’oblio. Un
flusso di riappropriazione esperienziale di un tempo perso nell’infinito
sovrapporsi delle esistenze. Tre stadi dell’essere, schizzi di vita, momenti
evanescenti, irrazionali, riflessioni, risate, leggerezza e drammi, bambino,
ragazzo, adulto: tre stagioni in attesa dell’inverno che fa già sentire i suoi
passi.
Mi fermo, guardo la sottile linea
dell’orizzonte, poi giù dal costone di tufo.
Sono arrivati i cormorani, chissà da dove.
Arrivano come certi pensieri, nella notte,
all’improvviso, all’alba, in un momento
qualunque, ma nessuno li vede, nessuno
può toccarli i cormorani. Volano come
i pensieri, si fermano a riposare su uno
scoglio e il loro sguardo misterioso aspetta
il momento per ripartire, quello giusto.
I cormorani, i pensieri, la linea sottile
dell’orizzonte, lo scoglio, l’odore del mare,
i colori della vita che fluisce e permea ogni
cosa di luce. Chiudo gli occhi, mi lascio
scaldare dai primi bagliori di un’alba ormai
lasciata sola, e mi sembra di corromperne
la maestosa bellezza, disturbarne il lento
incedere con quei pensieri che di profondo
hanno solo la banalità di un esserino al
centro di un infinito universo. In me cerco
l’errore. E ritorno indietro, riavvolgo,
rimandando avanti piano piano la pellicola
di una vita, e poi di nuovo, scrutandone i
fotogrammi, bloccandoli uno per uno, e
poi ancora indietro, scavando nei “perché”,
affogato nei “come mai?”, in un gioco delle
parti, ragionando con altri cervelli in uno
scambio di posizioni, di punti di vista, di
desideri, di aspettative.
Il sole spunta dalle montagne a est dello
scoglio, a est di tutto. Gli occhi intirizziti
dei cormorani adesso brillano. Butto tutta l’aria dai polmoni e li riempio di fotoni,
caldi, colmi di vita. Anche oggi ringrazio.
Giambi Leone