Siamo nella Roma del 1888, la città è una fucina di costruzioni sulla spinta dell’insediamento nella capitale del Re , ma questa febbre “edilizia” ha scatenato gli anarchici che protestano per le cattive condizioni in cui sono tenuti i lavoratori., che per di più stanno passando un brutto momento economico visto che molti lavori via via sono fermati, e quindi scarseggiano o mancano i soldi per pagare i lavoratori.
Succede anche che uno tra i più noi di questi costruttori venga trovato ucciso, e oltre tutto si scoprirà che è stato evirato. Il caso quindi si presenta assai complicato,e per di più se ne dovrà occupare un ispettore piemontese, appena trasferito a Roma, e quindi un autentico…pesce fuor d’acqua.
Ma Carlo Alberto Ferrero, preceduto da una grande fama, non si tira certo indietro, pur dovendo superare le difficoltà di ambientamenti, le difficoltà nel capire il dialetto romano, le pressioni dei politici, la naturale…ritrosia dei romani a collaborare con le autorità. >Ma ciononostante ce la farà ….
MONICA BARTOLINI, è una scrittrice ormai di lungo corso, si era affermata con una triologia avente a protagonista un maresciallo, pubblica tra il 2008 e il 2019. E’ anche una ottima recensora, collaborando a vari blog, mentre ora è usc nuovo libro, ALLE LORO ECCELLENZE, è un poliziesco, ambientato nella Roma tra il 1887 e il 1888, viene ucciso un noto costruttore edile , accoltellato in uno dei suoi cantieri. L’inchiesta è condotta dall’ispettore di polizia giudiziaria Ferrero, di origine piemontese, appena arrivato nella capitale.IL delitto, vista la notorietà della vittima, ha molta risonanza in città, oltre tutto molto scossa dagli scioperi della maestranze edili, e dalle violenze degli anarchici del movimento operaio, in subbuglio per la depressione economia, vista la crisi che sta travolgendo il settore edile.
Per il Ferrero, oltre tutto completamente nuovo del posto, una indagine difficile, anche per le pressioni delle “LORO ECCELLENZE”, ovvero il presidente Crispi, i poteri economici della capitale, i costruttori, la Chiesa, le Logge massoniche, "E poi per lui una difficoltà ulteriore. quella di rapportarsi con i cittadini, di cui non sempre capisce quello che dicono".
Ferrero riuscirà a risolvere il caso Varesi, dal nome della vittima, anche se gli rimarrà il dubbio se le “Eccellenze” lo abbiano usato per i loro scopi e non per amore della verità.
Una storia interessante, un giallo classico, ogni tanto se ne trovano, di tipo storico, ambientato nella Roma dell’Ottocento. Una Roma capitale del Regno e quindi al centro di grossi mutamenti, anche per uniformarsi alle grandi capitali europee.
Se questo è il quadro di sfondo, c’è la seconda fase della storia, quella più poliziesca, un in giallo di altri tempi, e quindi con una procedura investigativa abbastanza arcaica,ma non per questo meno interessante. Infatti per preservare l’integrità della scena del crimine ci si deve affidare agli appartenenti alla Forza Armata che per prima è giunta sul posto, ed ecco che il “Torinese” Ferrero, funzionario di polizia giudiziaria, dovrà avvalersi della collaborazione di due militari, a cui lui poi fatta salva la nota “rigidità ”tipica” dei piemontesi si affiderà, per entrare nel variegato mondo romano, dove troviamo di tutto, da politici a palazzinari, da ecclesiastici a massoni, oltre ai rappresentanti del popolo.
Tra i motivi di successo del romanzo c’è questa immagine di una Roma sì criminaleggiante con personaggi di ogni classe sociale e che forse oggi ci sorprendono, ma che la nostra autrice sa pennellare con molta bravura, aggiungendo al racconto un giusto tono ironico.
E’ un romanzo che MONICA BARTOLINI, romana puro sangue, ha scritto con il cuore “sentendo” molto il periodo e i suoi protagonisti. Il libro è costruito con un prologo e un epilogo che avviano e svelano l’episodio, e quel che sta succedendo e succederà. Poi ci sono i tanti eventi legati al succedersi dei giorni e della relativa indagine.
Nel trovare il colpevole la costruzione da giallo d’epoca dove si privilegiava la sfida lettore e detective a chi risolveva prima il caso, ecco una ulteriore sfida al lettore di oggi, saprà essere più bravo del poliziotto protagonista ?
GIUSEPPE PREVITI
”ALLE LORO ECCELLENZE” DI MONICA BARTOLINI- I BUONI CUGINI EDITORI- 23.01.2023 | Giuseppe Previti
Recensione di Raffaella Tamba
Una premessa sull’input che ha ispirato il romanzo. Una postfazione che ne circostanzia eventi e protagonsiti.
Monica Bartolini, affascinata dalla Roma di fine XIX secolo, sceglie questo particolare momento storico che vide Roma oggetto di cambiamenti epocali per essere adattata alle altre capitali europee, come sfondo di un crime sociale nella forma del poliziesco più classico: un morto, un ispettore di polizia giudiziaria, un’indagine da ricostruire lungo il filo di interrogatori, riflessioni, analisi dei reperti, confronti, deduzioni, col proposito di darci una testimonianza delle nascenti tecniche di investigazione, come il preservare la scena del crimine da contaminazioni fino all’arrivo delle forze di polizia. Al centro della vicenda, l’impresa edile di Anacleto Varesi, imprenditore romano che si contraddistingue per una gestione dei suoi cantieri ispirata a principi che oggi diremmo sociosostenibili: ha a cuore il lavoro dei suoi dipendenti, conscio e preoccupato prima delle loro esigenze che del proprio guadagno. Dopo l’Unità d’Italia nel momento in cui era necessario far fronte alle pressioni del governo piemontese, aveva anticipato di tasca propria il denaro necessario pur di non dover chiudere i cantieri o vedere le maestranze in sciopero come capitava ai suoi concorrenti. Ciononostante, il suo corpo viene trovato riverso all’entrata del cantiere. Un omicidio efferato. Il primo caso del suo nuovo incarico a Roma per Carlo Alberto Ferrero, torinese, ispettore della Polizia Giudiziaria. Una figura bellissima che sa nascondere dietro un atteggiamento posato, modesto, professionale, le proprie ansie interiori: “aveva l’anima in tumulto, dilaniato da sensi di colpa e sostenuto dall’orgoglio smodato di volersi affermare in una carriera, scelta a dispetto della propria famiglia”. Entrato subito in sintonia con l’agente Pasquazzi, ne suscita la stima con il dargli fiducia e si fa conquistare dalla musicalità di quella parlata romanesca che all’inizio gli sembra una lingua straniera ma che a poco a poco gli penetra nell’animo come lo spirito di quella gente. Roma è quindi per lui nuova aria da respirare per rinfrescarsi dentro. Se pure con un’indagine per omicidio.
E gli si svela una Roma doubleface: da una parte le famiglie benestanti; dall’altra gli umili, quelli che non hanno riserve, che dipendono da un lavoro quotidiano per racimolare solo il quotidiano e per i quali un evento come quello capitato, rappresenta un meteorite che spezza il loro fragile equilibrio. Ed un piemontese, praticamente straniero, deve capire come muoversi in quei due mondi perchè l’indagine lo porta nelle estremità più bieche di entrambi. L’inattesa visita della proprietaria di un noto bordello romano lo introduce in un ambiente dove non ci sono scrupoli, affetti, onorabilità; ma che, nell’ombra, è frequentato anche da chi, alla luce del sole, appartiene allo strato sociale opposto, quello delle banche, del governo, delle sette segrete che tendono fila sottili e robustissime.
L’autrice ha fatto una scelta stilistico-lessicale encomiabile: l’uso del dialetto romano per la gente più umile e l’uso dell’italiano per la classe più elevata; mentre Ferrero, piemontese, ne rappresenta lo strumento interpretativo e conciliativo. Accenti, modi di dire, lemmi, sono la colonna sonora di questo bel poliesco che dimostra come il giallo classico abbia davvero ancora tante possibilità di esprimersi nelle proprie caratteristiche. Un poliziesco frizzante che ricorda i film dell’Italia degli anni ’50: il bianco e nero di una società agricolo-manifatturiero, il vintage di un ceto più elevato che può permettersi di farsi confezionare su misura un paletot di panno con pellegrina a tre balze e pelliccia e magari, sotto, un vestito con inserti di velluto o che, a salvaguardia dell’aroma, conserva i sigari un pregiato portasigari a smalto con le proprie iniziali. A.V. Anacleto Varesi?
Per i Buoni Cugini Editori è uscito l’ultimo libro di Monica Bartolini, ALLE LORO ECCELLENZE.
Giallo storico ambientato nella Roma Umbertina del 1888 vede protagonista il giovane Ispettore Carlo Alberto Ferrero. Piemontese, appena arrivato da Torino, reduce da una dolorosa situazione familiare, nell’impatto con l’ingestibile carattere del popolo romano impara già dai primi giorni a muoversi nell’ambiente capitolino fra popolani genuini, altoborghesi, gente di malaffare, politici e prelati. Tutti legati fra loro da fili sottili, che riconducono sempre a chi quei fili li controlla e li tira: le Loro Eccellenze!
La stesura dell’opera ha richiesto un vasto e approfondito lavoro di ricerca legislativa, storica, urbanistica, linguistica e biografica, tutto esaurientemente documentato. Se Ferrero, il corpo di polizia e alcuni personaggi minori sono figure di fantasia, i componenti delle due famiglie protagoniste ma non antagoniste, i Varesi e i Bartolini, seppur divise dagli alti confini del ceto sociale, che nella fantasia permette comunque dei contatti – contatti che facilmente avrebbero potuto esserci nello storico – sono reali e rappresentano le radici famigliari di Monica Bartolini e del marito Marco Varesi, compagno di vita. I fatti raccontati, raccolti dalle testimonianze di padri, zii e nonni non sono puramente casuali ma assolutamente veritieri.
La lettura del romanzo, scritto per buona parte in dialetto romanesco, suggerisce interessanti riflessioni di carattere antropologico, ma lo fa con ironia e leggerezza, offrendo al lettore una suggestiva panoramica sulla bonaria astuzia e l’arguzia del romano verace, capaci di aprire un nuovo orizzonte nel pensiero dell’attento, corretto e misurato Ispettore Carlo Alberto Ferrero che riuscirà, nonostante le difficoltà volontariamente poste dalle Loro Eccellenze, a risolvere brillantemente il caso, e a dare un senso alle sue scelte, almeno momentaneamente.
https://elisabettamastrocola.com/2022/10/26/alle-loro-eccellenze/
Con immenso piacere, cari avventori del Thriller Cafè, oggi recensisco il nuovo romanzo della “collega” (abbiamo l’onore di annoverarla tra i nostri collaboratori) Monica Bartolini: “Alle loro eccellenze”, pubblicato da “I Buoni Cugini Editore”. L’autrice romana ha scelto in questo caso di collocare la vicenda del proprio romanzo nella Roma di fine Ottocento, un periodo che, lei ci spiega nel prologo, ha visto un’intensa trasformazione sociale e urbanistica della città con l’arrivo dei Piemontesi (intesi come monarchia sabauda), che hanno dato la propria impronta allo sviluppo della capitale. Permettetemi di dire che, da torinese di nascita e romano di adozione (poi trentino di destinazione), ho letto con ancora più curiosità quest’opera. E, dico subito, ne sono rimasto affascinato.
La Roma di fine Ottocento è dominata dallo sviluppo urbanistico delle aree immediatamente adiacenti al centro storico. I costruttori però sono in difficoltà, perché gli istituti di credito attraversano un periodo di difficoltà finanziaria che rende difficile agli impresari pagare le maestranze, a loro volta attratte dalle sirene dei primi movimenti rivoluzionari. In questo contesto, una mattina come tante altre viene ritrovato presso uno dei suoi cantieri il cadavere del costruttore Anacleto Varesi, pugnalato e orrendamente mutilato. L’indagine è affidata all’Ispettore di Polizia Giudiziaria Carlo Alberto Ferrero, piemontese appena trasferito a Roma, dal carattere schivo e poco esuberante, ma coriaceo e determinato a trovare il colpevole, in perfetto stile sabaudo.
La Bartolini, come lei stessa ci ricorda nella bella post-fazione, ha fatto un enorme lavoro filologico, che ha permesso di ricostruire meticolosamente non solo l’ambientazione storica e sociale del tempo, ma anche il dialetto romano (forse più facile per una romana) e quello piemontese (molto più difficile), che Ferrero parla in particolare nei momenti d’ira, quando il disordine romano tende a sovrastare l’austerità sabauda. Ne esce un quadro molto riuscito, che trasporta chi legge nei luoghi dell’epoca. Assolutamente apprezzabile è anche la ricostruzione molto ampia e ben fatta degli avvenimenti storici di fine Ottocento, realizzata con un rigore storiografico invidiabile.
Accanto a queste operazioni di contesto, l’autrice costruisce un intreccio avvincente e molto “moderno”, che ha quasi il tratto tipico del forensic thriller, un secolo prima che questo genere venisse inventato. Inoltre, la capacità di costruire un profilo psicologico credibile dei personaggi è notevole, valga per tutti il mitico Ispettore Ferrero, che speriamo di poter ritrovare in futuro. Oggettivamente antipatico, ma al contempo facile da amare, tratto assai comune del “tipo piemontese”. Non è difficile immaginare che sarà il personaggio a cui i lettori si affezioneranno di più.
Tra i temi che affiorano dalle pagine della Bartolini, un paio mi sembrano degni di nota. L’amore dell’autrice per la Storia è manifesto. Non solo la microstoria che pure la attrae, ma anche il grande scenario, dentro il quale leggiamo le tracce che ancora oggi ci caratterizzano (il peso della burocrazia, la facilità nello spendere improduttivamente il denaro pubblico, la spettacolarizzazione della politica). Il fuoco sulla condizione femminile emerge con altrettanta chiarezza, in modo non banale. Ci sono sì donne sfruttate e quasi recluse, ma ci sono donne che sanno prendere in mano la situazione nei momenti di crisi, come fa in modo molto lucido la vedova Varesi.In ultimo, non si può che elogiare la “calda” post-fazione. Mi è già capitato di scrivere in altre recensioni che spesso in queste note a fine libro si coglie l’essenza della personalità dell’autore o dell’autrice. Qui più che mai è così. Si percepisce lo sforzo enorme che è stato necessario per realizzare quest’opera, si coglie il lato autobiografico della vicenda, tratteggiato in modo molto discreto e per nulla ingombrante. Traspare l’amore che l’autrice ha per i suoi personaggi, come quasi sempre avviene nei romanzi. La Bartolini ci lascia anche con la speranza di farci ritrovare l’Ispettore Ferrero, speranza che speriamo si traduca in realtà appena possibile. Abbiamo bisogno di romanzi belli come questo.
Giuliano Muzio
https://www.thrillercafe.it/alle-loro-eccellenze-monica-bartolini/
di Marco Valenti
Il megadirettore galattico de I Buoni Cugini Editori torna in libreria e ci regala il nuovo episodio della saga di Falzone e Bertolazzi. Il passare del tempo pare non aver avuto effetti sul nostro duo preferito. Come un buon vino, magari siciliano, che migliora con il trascorrere degli anni, i nostri tornano in grande forma per l’ennesimo capitolo della serialità a loro dedicata. È un noir o un romanzo d’amore? è stata la domanda che mi sono posto non appena ho finito “Senza di te”. La risposta non ha tardato ad arrivare, ed è stata ovviamente “ma cu minchia si ‘nni futti”. È un buon libro, intrigante, divertente e ricco di sfumature che portano lontano, se si ha la voglia di riflettere, soprattutto sui “non detti” del romanzo che emergono pagina dopo pagina.
Ivo Tiberio Ginevra nisseno di nascita, ma palermitano (e tifoso rosanero) a tutti gli effetti, è il titolare della casa editrice I Buoni Cugini Editori con cui pubblica volumi troppo presto “scomparsi” e caduti del dimenticatoio della collettività, ma anche romanzi gialli ma dagli importanti risvolti sociali legati al territorio, come quelli dell’amico Vincenzo Ieracitano, o quelli che scrive in prima persona. “Senza di te” non fa eccezione a quanto detto. C’è la Sicilia, rappresentata dall’immaginaria cittadina di Scrafani, a fare da sfondo alle vicende del commissario Falzone. E con essa tutto il carico di dinamiche legate all’isola e alla sua storia recente e passata. Si parte da una serie di omicidi mascherati da suicidi per arrivare all’ingombrante ombra della mafia quando iniziano a cadere prima un magistrato, poi un maresciallo dei Carabinieri ed infine il figlio di un boss mafioso locale. Una bella “camurria” per Falzone che si sente sprofondare in un pantano da cui non sarà facile uscire. Il commissario Falzone è in preda ad una crisi senza precedenti, il suo matrimonio è naufragato, vive solo come meglio può, al lavoro non va poi molto meglio, anche in questura si sente sempre più solo, alla depressione si somma anche quella “solitudine da carenza di amore”, In un quadro come questo ritrovarsi ad indagare su una serie di suicidi non sembra essere il massimo, del resto quando hai “il deserto nel cuore” il lavoro non può sostituire quello che manca, e il baratro si fa sempre più vicino e sempre più profondo. Lasciarsi andare verso l’estrema decisione è questione di attimi. A Scrafani non piove mai, ma quando capita sulla città, si scatena l’apocalisse. Fiumi d’acqua sporca mista a liquami di fogna e schifo vario, percorrono le strade in leggera pendenza, accelerando la corsa fino al porto. Saltano i tombini. Si bloccano le macchine. Si allagano i mercati. Va tutto in tilt. I bambini non vanno a scuola. I genitori si recano a lavoro bestemmiando, e soprattutto, il traffico già caotico si congestiona e ricongestiona, fino al punto di bloccare la vita intera di una città d’ottocentomila abitanti. Questa di certo non era la migliore giornata per morire ammazzato a Scrafani. Se poi il morto era un magistrato della Procura, tutto, ma proprio tutto si complicava fino all’inverosimile. Se poi il magistrato era uno dell’antimafia, allora erano cazzi amari per tutti. A complicare ulteriormente le cose ecco l’arrivo teatrale e travolgente del nuovo medico legale, l’affascinante Caterina Arcoleo, Katia per gli amici. Una “fimmina” capace di far girare la testa a ogni uomo. Ovviamente quella di Falzone sarà quella che pià di tutte girerà, trascinandolo in un amore simil-adolescenziale che lo riporterà a vivere sensazioni smarrite nel profondo dei ricordi, in preda a più di un sussultò di quella gioventù che pensava smarrita. In un attimo yutto per lui cambia, e la leggerezza di chi (ri)trova l’amore lo conduce laddove non ricordava nemmeno più di essere stato.La gioia infinita contro la tristezza di sempre. L’istinto contro la ragione […] tutto quello che aveva intorno, gli sembrava estraneo. Addirittura si sentì estraneo a se stesso e se non fosse stato per quel granchio vivo che si era inghiottito parlando con Enzo, che ora si agitava pizzicandolo con le sue tenaglie per uscire dalla gola, avrebbe di certo continuato a nuotare nel nulla cosmico dell’amore imbecille.Come detto il rapporto con la moglie è ai minimi termini, la moglie sta organizzando la controffensiva e sta lavorando per mettergli contro i figli, toccandolo laddove il dolore fa ancora più male, per distruggerlo nella cosa più cara che aveva, una sistematica e mirata distruzione della figura paterna. La doccia calda, la valeriana, le luci soffuse della casa, tutto quanto potesse conciliare il sonno non produceva alcun effetto, e allora nel buio della stanza illuminata dal neon dell’acquario, disteso sul divano con le mani dietro al collo, capì che non era solo l’adrenalina a disturbarlo, ma quell’inquietudine inespressa delle sue preoccupazioni familiari. Il rapporto difficile con la sua ex moglie e la conseguente gestione dei rapporti con i bambini, che stavano crescendo. Bastava un solo momento di puro odio, o follia, per rovinargli la vita per sempre e con la sua anche quella dei bambini, considerati solo come una merce di scambio nelle separazioni familiari – si abbandonò al sonno azzeratore di una sequela di preoccupazioni e di cattivi pensieri in agguato per esplodere. Sonno di pace, nell’inconscia speranza di non svegliarsi mai più. Restando seri, quello su cui pone l’accento Ivo Tiberio Ginevra è, tra le altre cose, la triste situazione di chi, da padre separato, non riesce ad avere un rapporto “normale” coi propri figli, molto spesso e talvolta troppo frettolosamente affidati alla madre in modo esclusivo. Quello dei padri privati dei propri diritti nel rapporto coi figli è un fenomeno molto più diffuso di quanto si pensi. Fa solo meno rumore rispetto a quello che riguarda le donne, ma è altrettanto grave e difficile da risolvere. C’è purtroppo la tendenza a considerare un padre separato come un genitore di serie B, una figura a cui dare sì credito ma in modo e in rilevanza minore.Sono fondamentalmente i rapporti umani, con tutte le loro sfaccettature a caratterizzare il romanzo. Da quelli tra i colleghi, mai facili e spesso caratterizzati negativamente dallo stress lavorativo, a quelli familiari laddove le famiglie si disgregano portandosi dietro un carico d’odio a volte eccessivo, passando per quelli interpersonali tra i due sessi, vero ed autentico mistero che da millenni è oggetto di studio senza però una conclusione univoca e definitiva che metta tutti d’accordo.In chiusura l’ultima riflessione, legata alla letteratura Siciliana contemporanea, cui sono molto legato per tutta una serie di motivi che non è ancora il momento di svelare. Si potrebbero fare paragoni più o meno illustri con altri autori siciliani parlando di Ivo Tiberio Ginevra e dei suoi romanzi. Ma non porterebbe a niente. Ognuno ha i suoi punti di forza, le sue peculiarità, le sue dinamiche che rendono ogni romanzo a suo modo unico e meritevole di pari dignità. Fare confronti non è mai semplice, ma soprattutto elegante. Quello che conta davvero è scovare in ogni romanzo quelle caratteristiche che lo rendono riconoscibile, ritrovare quel “tocco” che ce lo fa collocare immediatamente nell’immaginario dove abbiamo destinato i suoi predecessori. È come nella musica, riuscire da subito a riconoscere lo stile del musicista, assaporare la delicatezza del timbro dopo pochissime note. Questo conta davvero. Non i paragoni in cerca di stupide classifiche di merito.
Per il suo stile narrativo scorre e si beve come un buon barbera vivace, ma è una storia molto drammatica. Ivo Tiberio Ginevra è ritornato sul solco del giallo, in quello già tracciato nei due precedenti romanzi Gli assassini si Cristo e Sicily crime; la vicenda qui narrata ha una sua piena autonomia e il lettore ci si può cacciare dentro anche se non conosce i precedenti romanzi. Il centro del romanzo “Senza di te” è l’amore; un amore non di pubblicità e ben laccato, bensì quello con tutte le sue contraddizioni relative al sesso, al gusto, alla gelosia, fino alla possessività che grava sugli innocenti di passaggio, i figli. Lo strano giallo di due psicologhe, apparentemente suicide, si interseca con altre vicende di contorno; e poi si arriva per gradi ad un finale inaspettato ma che conserva un suo filo logico. Aggiungere altri dettagli nella presentazione di un romanzo giallo è un vero e proprio delitto nei confronti del lettore; e allora buona lettura di “Senza di te”
Francesco Zaffuto
di Remo Bassini
È un buon giallo, ma è anche una storia d’amore a tinte forti il libro di Ivo Tiberio Ginevra, Senza di te, casa editrice I Buoni Cugini. Leggiamo l’incipit: La luce del neon proiettava a terra l’ombra della sua pancia. “Dovrei fare dieta” pensò Falzone, poi prese la pantofola, spiaccicò una zanzara nella mattonella del bagno e si andò a coricare. Erano le quattro di mattina. Immaginava la sua morte, il suo funerale, le facce dei colleghi e quelle dei conoscenti. I discorsi della gente. Quasi quasi, la cosa cominciava pure a piacergli. Non era depresso, ma gli piaceva fantasticare su questa cosa, nel buio della sua stanza da letto. Pensò pure al suicidio che non avrebbe mai fatto.
“Senza di te” è un giallo colorato di Sicilia con “infiltrazioni” mafiose. Un giallo che si salda alla storia d’amore tra il commissario Mario Falzone, il tranquillo poliziotto protagonista, e Caterina, una gnocchissima medico legale tutta pepe, che ama scorrazzare in moto e cenare in trattorie dove si mangia il pesce buono. È una storia d’amore folle, strana, ma soprattutto insolita, perché racconta di un amore impossibile che poi diventa possibile per poi tornare impossibile o forse no, e che comunque incanta. Il libro, come detto, è un giallo. Bene, lo è anche la storia d’amore, non foss’altro per il finale a sorpresa, che non ti aspetti.
Ma è il protagonista, il commissario Mario Falzone, che vede indagare su alcuni strani suicidi, il vero punto di forza del libro. Per tante ragioni. Perché non è un duro e non si prende troppo sul serio. Perché non è ambizioso. Perché in amore è maldestro. Perché tra figli ed ex moglie avvelenata e avvocati che non si trovano mai fa solo incetta di casini. Perché – soprattutto – quando pensa, e quando pensa spesso ricorre a un siciliano comprensibile anche ai nordici, il commissario Mario Falzone fa ridere e sorridere, pagina dopo pagina. Cosa rara, questa, per un libro giallo, ma che che segue la scia del grande Camilleri.
Ricapitolando, i grandi protagonisti di questo sono tre: la trama gialla di buona fattura, una storia d’amore potente e a tratti un po’ crudele, e una quintalata di sana ironia (che fa bene al sistema immunitario).Siciliano di Caltanissetta, Ivo Tiberio Ginevra, classe 1961, per anni ha letto e recensito decine di libri, soprattutto gialli. Anni fa si è dato all’editoria, fondando (a Palermo) la casa editrice I Buoni Cugini che ha il grande merito di aver valorizzato, ripubblicandone i romanzi storici e le poesie, il grande scrittore siciliano Luigi Natoli.“Senza di te” è il terzo libro giallo scritto da Ivo Tiberio Ginevra. Come abbiamo detto un gran bel giallo. Il titolo, diciamolo, non è un granché: l’autore, dal momento che è anche un editore, poteva sforzarsi un po’ di più per trovarne uno un po’ più originale.
Oggi al Thriller Café vi parliamo di Senza di te, un romanzo di Ivo Tiberio Ginevra, edito da I Buoni Cugini Editori.
Quando il cellulare squilla alle quattro di mattina, il Commissario Mario Falzone sa già che qualcuno è morto. Quello che ignora è che il caso che dovrà risolvere finirà per cambiargli la vita. C’è una psicologa che si è impiccata alla ringhiera di una scala, ma è un suicidio strano: troppi i dettagli che non quadrano. A sostenerlo è il medico legale, l’affascinante Caterina Arcoleo. Per Falzone è amore a prima vista: basta un suo sorriso per consegnarlo “al custode dei pazzi”. Convinto dalla tesi della bella Katia, il commissario la accompagnerà in un’indagine sospesa tra amore e morte.
La vita di Falzone è tutt’altro che serena: le schermaglie legali con la sua ex-moglie, da lui gentilmente soprannominata “la strega”, gli impediscono di vedere i suoi due figli quanto vorrebbe e gli avvelenano l’esistenza. L’avventura con la giovane coroner rappresenta per lui una boccata di aria fresca, ma anche un inferno di pene di amore e gelosie in cui si trova scaraventato suo malgrado. Intanto, per le strade di Scrafani è scoppiata una guerra di mafia. Le famiglie locali hanno assassinato un magistrato della procura, e le ricerche di Falzone incrociano le oscure trame di Cosa Nostra… Per fortuna ad aiutarlo ci saranno gli amici di sempre: il medico legale e seduttore impenitente Enzo Di Pasquale e l’immancabile Pietro Bertolazzi, dalla bestemmia facile ma dal grande cuore.
Senza di te è il terzo romanzo che l’autore dedica al duo investigativo Falzone e Bertolazzi, ma lo si può tranquillamente leggere in modo slegato dai precedenti. Quello che mi ha più colpito di questa lettura è il modo multiforme in cui procede la vicenda. Il libro inizia con toni malinconici, poi si trasforma in commedia con sfumature erotiche, senza perdere mai la sua identità di giallo. Il dramma, infatti, scorre sotto il testo come un fiume sotterraneo e si rivela appieno a mano a mano che si procede verso la conclusione, sfociando in un labirinto di falsi finali degno della migliore tradizione thriller. Il tutto, senza soluzione di continuità e soprattutto senza perdere tensione narrativa: le quasi trecento pagine scorrono fluide, catapultando il lettore su una montagna russa di emozioni contrastanti: l’amore fa posto all’odio, la vendetta cede il passo al perdono e all’allegria segue la tristezza. Come se non bastasse, gli stessi personaggi sono antitetici: tanto Falzone è riflessivo e triste quanto Bertolazzi è irruento e sgarbato.
Al thriller si intreccia anche il dramma familiare: attraverso le vicissitudini di Falzone, l’autore ci parla di una moltitudine di persone che ha visto il proprio sogno di idillio familiare trasformarsi in un incubo senza via d’uscita in seguito alla separazione.
Far stare tutto questo dentro i confini di un giallo non era un’impresa facile, ma vi posso assicurare che Ivo Tiberio Ginevra ci è riuscito. La Sicilia non è semplicemente lo sfondo di questo romanzo, ma ne costituisce anche l’anima. Il pensiero corre inevitabilmente ad Andrea Camilleri e al suo Montalbano, ma le pagine di Ginevra sono diverse, più sanguigne, popolate da personaggi urlanti e spettinati, vibranti di vitale imperfezione. La solarità siciliana, certo, ma lontana dal luogo comune perché temperata da una “blue note”, una nota malinconica che si fa sentire attraverso le pagine e che viene ben rappresentata nell’elegante copertina, ricavata da una bella foto in bianco e nero di Maurizio Pizzolorusso. Per capire davvero la scelta della copertina, però, dovrete aspettare fino all’ultima pagina…
Quando leggo, mi piace ascoltare un po’ di musica: penso che ne esalti il sapore, un po’ come fa il vino con il cibo. Per accompagnare la lettura di un giallo così particolare, vi propongo un ascolto altrettanto caratteristico, e soprattutto senza spostarci dalla Sicilia. È un disco di quasi vent’anni fa, che ho amato, dimenticato e recentemente riscoperto con rinnovata passione: Matri mia, della Banda Ionica. Roy Paci, in compagnia di una folta schiera di artisti (tra tutti ricordo Vinicio Capossela, ma ce ne sono molti altri di tutto rispetto) gioca con gli ottoni delle processioni religiose del Meridione per regalarci una musica antica e nuova al tempo stesso. Lo trovate qui.
Per concludere: se siete alla ricerca di un buon libro da portarvi sotto l’ombrellone, Senza di te è probabilmente il romanzo che fa per voi. Buona lettura!
Gian Mario Mollar
Una mattina di routine sembra attendere il maresciallo Nunzio Piscopo al suo rientro in caserma dal tribunale, quando la notizia dell’uccisione di un gioielliere nel
suo negozio scatena il terremoto tipico di fatti del genere. Ma qui la storia si farà ancora più bollente perché l’arma che ha ucciso l’uomo appartiene inequivocabilmente
al Maggiore Spada, comandante la locale Stazione dei Carabinieri, al momento irreperibile perché si è preso una mattinata libera per andare a provare la nuova moto.
Ma la vicenda diventerà ancora più ingarbugliata, l’ufficiale ammette senza reticenze che l’arma del delitto è la sua, subito i suoi uomini fanno quadrato intorno a lui,il
magistrato incaricato, una donna sempre abbastanza acida, vede l’occasione per una inchiesta di gran richiamo che potrebbe giovare alla sua carriera.
Si sviluppa una vicenda assai complicata legata com’è a situazioni familiari ben fuori della norma, la moglie del maggiore ha ben due amanti, uno era il gioielliere morto,
ha una figlioletta che praticamente è allevata dalla moglie del maresciallo. L’altro suo uomo è implicato con la mafia, insomma tutti hanno qualcosa da nascondere e
nessuno è puro….
Torna in libreria Monica Bartolini, scrittrice sempre interessante, vincitrice di vari premi, assai attiva anche nei blog dove cura molte recensioni. Un personaggio seriale§
dei suoi romanzi è il maresciallo dei carabinieri Nunzio Piscopo, che appunto ritroviamo in questo nuovo romanzo Per interposta persona.
La storia prende avvio da una presunta rapina in una gioielleria in cui viene ucciso il gioielliere, ma presto si capisce che sotto c’è ben altro, e dell’omicidio verrà accusato
il comandante della locale stazione dei carabinieri, il maggiore Spada. Ma questa è una storia a più personaggi, il gioielliere era l’amante, anzi uno degli amanti della moglie
dell’ufficiale, addirittura il padre della figlioletta che Spada aveva riconosciuto come sua, e per la cronaca va detto che il terzo uomo della signora era un piccolo boss della
mafia locale.
Ovviamente ci saranno altri morti, storie di famiglie squallide al di là della facciata, indagini che si intrecciano e che gravitano intorno ad affari di mafia, magistrati e
carabinieri e altro ancora. Certamente tanti personaggi portano a varie relazioni, ci sono i buoni (ma…pochi) e ci sono i cattivi(tanti !), ma alla fin fine si fatica a distinguere
chi sono gli uni e chi sono gli altri. E del resto se ci mettiamo nei panni dell’investigatore protagonista, il maresciallo, che poi nei gialli rappresenta sempre un po’il lettore, vediamo che fatica molto a districarsi tra i tanti eventi che si succedono e si mescolano in continuazione,in un gioco di sfumature e di ipotesi, in cui le certezze sono ben poche.
Ci si addentra quindi in una storia dalle molte sfaccettature che variano a seconda dei comportamenti dei personaggi che si muovono e agiscono secondo il proprio tornaconto,
qui ripetiamo,il bene e il male si confondono, e anche chi è chiamato a indagare spesso è prevenuto. Ad esempio Piscopo parte dal principio che il maggiore è innocente, il
magistrato invece vede nell’indagine una grossa opportunità per la sua carriera, e tutto questo non facilita certo l’indagine.
Va pure detto che niente al giorno d’oggi è netto nella vita quotidiana, il bene e il male spesso si confondono e si sovrappongono. La Bartolini ha scelto un modo originale di
raccontare quella che non è altro che la metafora sui mali del mondo di oggi, qui narrata sfruttando la chiave del giallo.
Il maresciallo è un idealista, la moglie e la figlia sono più pratiche pur rimanendo sempre al loro posto. Chi non lo ha fatto è quel personaggio diabolico che si rivela essere
Tiziana, la moglie del maggiore, che raggira un po’tutti, coltiva più relazioni, beve, si droga,trascura la figlia, viene da un brutto passato con alle spalle dei traumi infantili che
non si dimenticano. Ma più che una dark lady sembra una che voglia fare la bella vita a qualsiasi costo, approfittando delle debolezze degli uomini che la circondano.
Il maggiore è il personaggio più complesso di questa storia, difficile da interpretare, forse è la vera vittima di quanto succede, anche se apparentemente niente sembra>
scalfirlo, i capitolo del romanzo sono preceduti a volte da frasi di Pirandello, e lui sarebbe un buon personaggio pirandelliano, in un continuo alternare l’apparenza alla
realtà, sperando così di conquistare l’amore della moglie….
Alla fine esiste un burattinaio che ha tirato le fila di tutto questo gioco al massacro ? La risposta la lasciamo ai lettori. non ce la da nemmeno Piscopo….
Possiamo aggiungere che il metodo narrativo passa dai tratti in corsivo dove il maresciallo si esprime in prima persona a capitoli in terza persona dove si racconta
l’evolversi della storia.
È sempre complicato mantenere a lungo un segreto. Se poi i segreti sono più di uno, le cose possono finire con lo sfuggire letteralmente di mano e far crollare impalcature che con loro si portano detriti e polvere, verità ingestibili e labirinti emotivi da cui non si riesce più a scappare.
Intrecci di storie quasi sempre significa anche intrecci di persone. Di vite. Di famiglie.
Il maresciallo Nunzio Piscopo viene chiamato sulla scena di un crimine alquanto insolito, l’assassinio di Vito Greco, ucciso a colpi di pistola nel suo negozio. In quell’ambiente particolarissimo si potrebbe ipotizzare qualsiasi cosa, dalla rapina andata a finire male a una vera e propria esecuzione magari per uno sgarro. Ma non è l’ipotesi di reato a lasciare esterrefatti gli inquirenti, bensì la presenza della pistola di ordinanza del maggiore Spada accanto al cadavere del gioielliere. E considerato che nel negozio sembra non essere stato rubato un bel nulla, allora il mistero della barbara uccisione prende davvero un risvolto particolare. Inoltre, il maggiore non tentenna neanche un attimo ad ammettere che quell’arma è sua e nonostante le manifestazioni di stima e fiducia dei suoi uomini sembra prontissimo a assumersi qualsiasi responsabilità emerga sulla sua persona. Nunzio Piscopo non avrà vita facile per riuscire ad arrivare alla verità e soprattutto scoprirà che per interposta persona sono tante le cose che si possono fare, nella vita pubblica ma anche in quella privata di molte persone.
Monica Bartolini dà vita a un poliziesco che non teme nessun confronto con i best seller internazionali perché, oltre a costruire una trama che tiene alla perfezione, ci aggiunge un brio e una vivacità di stile e linguaggio che alla fine solo gli autori italiani più ispirati sono in grado di imbastire. Per interposta persona non è solo un bel giallo, ma è una sorta di manuale per riflettere sulla natura dell’uomo e sui suoi impulsi più primari. Le pagine più belle, infatti, sono quelle che affrontano le mancanze emotive e i vuoti sentimentali. Pagine che fanno da traino a una azione che non è mai fine a sé stessa, ma che viene saggiamente spalmata dall’autrice attraverso una indagine che scava e rimesta in misteri e azioni in cui l’interposta persona sembra doversi occupare oltre che della propria vita anche di moltissimo altro. Tensione e psicologia quindi in questo interessante romanzo, ma anche la possibilità per i lettori di ritrovare uno personaggio unico e particolare come Nunzio Piscopo che dopo aver appassionato i lettori con le avventure precedenti torna in una indagine che lo vede, se possibile, ancora più protagonista come carabiniere e come uomo.
Antonia del Sambro
Un ambiguo gioielliere viene ucciso con modalità che fanno pensare a una resa dei conti. L’arma del delitto è una pistola di proprietà del maggiore Spada, comandate della locale stazione dei carabinieri. Nunzio Piscopo, maresciallo alle soglie della pensione, rodato investigatore e carabiniere di traboccante umanità, fa quadrato con i colleghi per dimostrare l’innocenza del superiore.
Una ragnatela di sospetti si irradia dal delitto insinuandosi nella complessa realtà del posto e arrivando a lambire gli affetti interconnessi di indagati e inquirenti, la mafia locare, scabrosi e remoti antefatti.
Un’indagine, quest’ultima di Piscopo, che procede sghemba e ramifica incessantemente intrappolando il maresciallo in un mortifero timore di inadeguatezza professionale e umana.
Vi sono libri che seducono per la profondità, la qualità della scrittura, l’impianto narrativo, le atmosfere. E altri, come questo “Per Interposta Persona” di Monica Bartolini (nella foto sotto) che, in più, vantano uno sguardo radiografico sui personaggi. Romanzi scritti con una sapienza emotiva che intaglia e vivifica protagonisti irresistibili nella loro calda autenticità. Ovviamente un’autenticità infusa, il cui sinonimo è umanità. L’umanità dell’autrice.
Caterina Falconi
E’ il 1974. In un piccolo paese siciliano Don Pinuzzo è il miglior cliente del Bar Kennedy. Ha quarantasei anni, vive delle rendite che gli ha lasciato il padre, un uomo d’onore morto in prigione per non tradire un amico mafioso, e vorrebbe seguire il suo esempio, pensando che abbia vissuto in modo eroico e giusto. La mafia non si fida di lui perché è un chiacchierone e un perditempo.
Fuori dal paese c’è una vecchia clinica abbandonata , costruita dai nobili Arpazza, un edificio che sta in piedi per miracolo, dove un gruppo di ragazzini fa una prova di coraggio: devono entrare in quell’edificio sporco e pericolante e raggiungere il terzo piano, sfatando una leggenda di fantasmi. In palio ci sono figurine Panini, monopattini e….la stima degli altri ragazzi del gruppo.
Finalmente un mafioso si degna di dare un incarico a Don Pinuzzo, accendendo in lui la speranza di una successiva affiliazione: dovrà portare un suo amico che non vuole pagare il pizzo da Don Mariano, il capomafia. Dopo pochi minuti nei quali l’amico viene picchiato brutalmente Don Peppino comprende di colpo cos’è la mafia e chi era veramente suo padre ed inizia ad avere una tremenda paura. Il mito mafioso che lui romanticamente aveva idealizzato si sgretola in un attimo e la violenza brutale alla quale i malviventi vogliono farlo avvicinare lo terrorizza e lo blocca. Viene perciò chiamato femminuccia e a sua volta pestato.
"Tu sei senza palle. Non sei degno di portare il cognome di tuo padre. Se c’era lui a ‘sto infame gli aveva sparato in testa, violentato la moglie, ammazzato i figli e bruciato la tabaccheria, ma tu sì ‘na cosa inutile. Hai sbagliato Giuseppe. Hai sbagliato e ora so cazzi. Vituzzu, fai vedere a ‘stu minchione come si ammazza un infame".
Il romanzo procede intersecando la storia dei ragazzini con quella dello sfortunato Don Pinuzzo e con la presenza di una misteriosa donna anziana proprietaria di tre cani feroci. Il ritmo del racconto si fa sempre più incalzante fino al termine dell’incubo al quale il lettore giunge letteralmente senza fiato. L’autore sa condensare in 135 pagine una storia aspra che parla della mafia degli anni ’70 e del fascino che ha esercitato verso molte persone, aprendoci gli occhi sul male che ha fatto e sulla violenza fisica e psicologica che ha creato intorno a sé, non fermandosi nemmeno davanti ai bambini. I dialoghi talvolta scritti in siciliano, i soprannomi e alcune descrizioni fanno intuire il legame profondo dell’autore con la propria terra. La scrittura essenziale e chiara e l’ottima costruzione della storia rendono questo romanzo un piccolo diamante assai prezioso: un libro che non si dimentica. Consiglio questo intenso romanzo a tutti i lettori, specialmente agli amanti del thriller poliziesco dalle scene rapide e potenti.
Ivo Tiberio Ginevra ha pubblicato due romanzi con Robin Edizioni, Gli assassini di Cristo (2011) pubblicato in una nuova edizione con I Buoni Cugini editori nel 2019, Sicily Crime (2012) di prossima pubblicazione con la casa editrice I Buoni Cugini e dichiara di non aver mai fatto una presentazione dei suoi romanzi.
Peccato perché mi piacerebbe conoscerlo e fargli i complimenti!
E’ anche direttore della casa editrice I buoni cugini editori che pubblica principalmente opere “dimenticate”, salvando dall’oblio autori come Luigi Natoli. Con questo romanzo inaugura la collana “Sbirri e Sbirrazzi”.
Gabriella Pinamonti
https://www.labottegadelgiallo.com/recensione/guarda-come-si-uccide/
Prima di parlare del romanzo, vorrei fare alcuni cenni sull’autore, Ivo Tiberio Ginevra, scrittore ed editore nato in Sicilia, dove vive tuttora.
Fondatore della casa editrice “I Buoni Cugini editori“, il suo intento è quello di pubblicare opere ormai finite nel contenitore degli oggetti smarriti, a partire da alcuni romanzi di Luigi Natoli, come Squarcialupo, Alla guerra!, Gli ultimi saraceni.
Questi testi non sono mai stati tramutati in libro, ma pubblicati nelle appendici del giornale di Sicilia un secolo fa.
Ha pubblicato due romanzi con Robin Edizioni, Gli assassini di Cristo (2011) Sicily Crime (2012) e dichiara di non aver mai fatto una presentazione dei suoi romanzi.
E mi permetto di dire: “Peccato!”
Perché dopo aver letto questo libricino di 140 pagine di adrenalina pura, il primo istinto che avrete è quello di voler stringere la mano a questo scrittore, il quale ha compiuto ben due scelte coraggiose, quella di aprire una casa editrice – considerata la crisi del mercato editoriale – e di pubblicare il suo romanzo, il primo che inaugura la Collana “Sbirri e Sbirrazzi”.
La trama si svolge nel territorio che Ivo conosce bene: la sua terra, la Sicilia. E ci racconta quanto questa regione sia ormai corrotta e in mano a mafiosi senza scrupoli che non guardano in faccia a nessuno. Il codice etico non esiste più da tempo, così come la speranza di trovare un lavoro onesto e rispettabile senza finire nelle mani della criminalità organizzata.
Ma quando si è ragazzini, si pensa di essere invincibili, tanto da mettersi alla prova con atti di coraggio, entrando in una vecchia clinica abbandonata dei nobili Arpazza, per sfidare i compagni.
La sporcizia e la puzza di muffa all’interno del rudere non ricordano nulla di quello che era in precedenza, una villa trasformata in clinica polispecialistica e dedicata alle malattie respiratorie, bombardata durante la seconda guerra mondiale, causandone il crollo e la morte dei pazienti, dei medici e della sua fondatrice, Ninetta, l’ultima discendente della dinastia Arpazza.
Si diceva che fosse ormai abitata dai fantasmi e proprio per questo motivo méta di ragazzini con la voglia di scommettere chi se la sarebbe fatta sotto prima.
Così fanno Calogero e Ninni, insieme a Andrea, Mauro, Vicè, tutti fra i dodici e i tredici anni.
Comincia così un’avventura che difficilmente i loro occhi dimenticheranno mai..
Sui gradini Calogero pensa alla prova di coraggio che ha fatto con Ninni e con tutti gli altri, pensa ai fantasmi che non esistono e conclude che i mafiosi sono molto peggio degli spiriti.
Primo romanzo che leggo di Ivo Tiberio Ginevra, il quale è riuscito a condensare e a dare una struttura solida in così poche pagine a una storia che ha molto da raccontare, concentrata sui personaggi e sul dramma che ancora si vive in Sicilia. La mafia intesa nel senso più spregevole (perché…ce ne sono altri meno spregevoli?), in cui non c’è rispetto per nessuno, neanche per i bambini.
Un poliziesco con una ristretta ambientazione – mi ha ricordato i generi della “camera chiusa”, anche se in realtà non vi è un colpevole misterioso da scoprire, né un’indagine da portare avanti, ma solo porte da aprire e sorprese da scoprire.
Pensavo di trovare Camilleri..e invece mi sono imbattuta in Ivo Tiberio Ginevra.
Due diversi punti di vista, un’unica grande passione per la propria terra, la stessa consapevolezza di quanto il Male si annidi in profondità, senza lasciare spazio, né fiato, alla speranza.
Quanto coraggio ci vuole per affrontare le proprie paure? Quanto temiamo i nostri spiriti e quanto invece potrebbero vegliare su di noi? Alle volte sono più reali di quanto crediamo..
Lettura scorrevole ma molto cruda, forte.
Cecilia Lavopa
https://contornidinoir.it/2015/07/ivo-tiberio-ginevra-guarda-come-si-uccide/
1974. Un piccolo paese della Sicilia pieno di sole. Immaginatevi una clinica abbandonata tra detriti e sterpaglie, scenario ideale di una storia in bilico tra The body di Stephen King (ma se dico Stand by me – Ricordo di un estate, il film di Rob Reiner che hanno tratto, forse è più chiaro per tutti) e un racconto di Camilleri, impreziosito di dialetto siciliano e malinconia.
Ecco a voi il racconto Guarda come si uccide di Ivo Tiberio Ginevra, primo volume della collana “Sbirri e sbirrazzi” de I buoni cugini editore, casa editrice palermitana di proprietà dello stesso autore. Un vezzo, il racconto, una mascotte di una collana che ha l’ambizione di raccogliere manoscritti di genere poliziesco, thriller, noir, presumo non solo di ambientazione siciliana. (A proposito se ne avete uno ma davvero bello e scritto bene, visto il primo racconto lo standard è piuttosto alto, potete inviarlo a ibuonicugini@libero.it).
Dunque, dicevo, se vi piacciono le favole noir, con coraggiosi poliziotti infiltrati, mafiosi tra il caricaturale e il dannato, ragazzini pronti a mettersi alla prova, cani feroci e presunti fantasmi (ah, ci sono pure quelli, non temete), apprezzerete, come ho apprezzato io questo racconto in cui il bene e il male hanno il volto della Sicilia più vera, dove la mafia ancora (purtroppo) incide con le sue leggi e i suoi codici d’onore malato.
Ma in Sicilia non tutto è mafia, ci sono nobili altruisti e generosi che trasformano le loro ville in sanatori, (il personaggio di Ninetta vi riserverà qualche sorpresa, leggete attentamente le prime pagine) ci sono i carabinieri che rischiano e molte volte perdono la vita per salvare gli altri, e ci sono i ragazzini, per cui i rapporti umani sono ancora fondamentali, sani, i legami autentici.
Guarda come si uccide è un racconto delizioso (anche per gli amanti del pulp), scritto benissimo, e anche piacevolmente confezionato. Proprio l’oggetto libro. Mi preme segnalare infatti anche la bellissima copertina Dall’altra parte foto in bianco e nero di Maria Luisa Lamanna. Buona lettura!
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