“Arte e dialoghi di viddanaria”, questo è il titolo che ho voluto dare a questo libro, perché per esercitare la professione del contadino ci vuole un’Arte” con la “A” maiuscola.
Ho usato appositamente questo titolo, per indicare e far intendere che non tutti erano capaci di svolgere con perizia le attività proprie del “viddanu”, malgrado che, “ô tempu dû pitittu”, la stragrande maggioranza della popolazione fosse composta da contadini o “viddani”, e che solo ben pochi, quelli che avevano la possibilità di studiare, erano fuori da quel mondo. I figli dei “burgisi” o dei benestanti, a volte a forza di “pirati nto darreri” andavano avanti negli studi pur non essendo capaci di fare la famosa “O cû biccheri”; mentre molti figli di “viddaneddi” che avrebbero avuto le qualità e le capacità di studiare e progredire quindi nella scala sociale, non avendo le possibilità economiche, restavano a fare “i viddani” come i loro genitori; questi erano chiamati “viddani sturiusi”, che erano capaci di trarre frutto e mettere in pratica l’esperienza maturata nei secoli dall’uomo di campagna, svolgendo al meglio, con cognizione e coscienza, le attività agricole, come sapere scegliere bene il momento della semina, preparare con cura il terreno, avendo la conoscenza delle sue qualità e perciò di cosa seminarvi, sapere fare gli innesti, capire quando potare gli alberi e come farlo, sapere trattare i vigneti in tutte le fasi lavorative e poi curare e conservare il vino e l’olio e cosa molto importante, avere cura degli animali che rappresentavano i mezzi con cui svolgere le loro attività, trattandoli non come strumenti ma come compagni di lavoro.
© Copyright by I Buoni Cugini editori