I Buoni Cugini Editori di Anna Squatrito
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Recensioni Radice di un fluire
Recensione di Rosario Gatalioto
Niente di magico o esoterico, ma è noto, la parola, per come è pronunciata, i toni, il contesto, ma anche nei silenzi o intercalari, nell’argomentazione complessiva, e infine nel “non detto”, manifesta un potere enorme. Non è un caso, l’espressione biblica “E il Verbo si è fatto carne”. Pochi giorni fa, in una normale discussione, l’altro interlocutore, ad un certo punto, mi apostrofò dicendomi “non giochi con le parole”. Giuro, non giocavo affatto, né amo fare usi distorti dei vocaboli per piegarli al mio intento. Semplicemente, cerco di usarli il più possibile per il loro significato originario, li combino affinché la mia comunicazione sia chiara e efficace.
Sono fortunato, mi dico spesso, sono circondato da persone che hanno a cuore il linguaggio e la comunicazione nella sua essenza. Uno di questi è Giambi Leone, amico, autore, spesso qualificato editor in quanto abile curatore dei linguaggi altrui. inoltre, artista nel senso pieno del termine, musicista blues, maestro di armonica e mi fermo nel dire perché a volte le parole non riescono a contenere tutto e chi è saggio, lo sa bene.
La sua ultima produzione, “Radice di un fluire”, è apparentemente la raccolta di 41 racconti “esistenziali”, ma in realtà è molto di più. Prendo in prestito alcune sue parole della quarta di copertina: “..uno specchio su cui riflettersi, il sali e scendi da una macchina del tempo per rivivere, sniffare, odorare, sentire sulla pelle e nell’anima, umori relegati nei meandri dell’oblio. Un flusso di riappropriazione esistenziale di un tempo perso nell’infinito sovrapporsi delle esigenze. Tre stadi dell’essere, schizzi di vita, momenti evanescenti, irrazionali, riflessioni, risate, leggerezza e drammi. bambino, ragazzo, adulto. Tre stagioni in attesa dell’inverno che fa già sentire i suoi passi.”
Attraverso frammenti della sua, Giambi ci mette abilmente di fronte alla vita di ciascuno. Un susseguirsi di fatti, azioni, errori, incespichi, slanci e riflessioni che hanno il solo fine di tentare risposte a quell’unica domanda sulla vita mentre la viviamo. Siamo costantemente come su un treno in corsa e cerchiamo continuamente l’equilibrio giusto tra il fare e il riflettere.
Se la parola “lirica” è accettabile in riferimento alla narrativa, posso dire che nei racconti di Giambi ci sono momenti di pura lirica in connessione alle immagini di una vita che scorre e a cui non sfuggono i dettagli, come fossero fotogrammi di un film. E’ forse magia? No, è probabilmente frutto di una grande ricchezza interiore che non può che sgorgare attraverso un uso “esatto” delle parole, come se Giambi Leone avesse trovato la giusta chiave per trasformare la narrativa in poesia, lasciandola narrativa.
La domanda più superficiale che qualcuno potrebbe esprimere è: quale racconto preferisci? Non è possibile rispondere a questa domanda, tutti i racconti sono lì, come passaggi di vita, in cui un momento non è mai meno importante di un altro, a prescindere se sia leggero o di profonda riflessione. I racconti di Giambi sono come la vita stessa, scorrono uno dopo l’altro, e il senso sta proprio nell’insieme, e mai, dico mai, in un processo di meticolosa analisi come fosse una vivisezione.
Pertanto, buona lettura!
Recensione di Paola Gagliardo
Quarantuno racconti, tre stagioni della vita: primavera, estate, autunno. Un tempo che non scorre ordinato, ma frastagliato, spezzato, a chiazze di colori brillanti, di bianco e nero, fatto di memorie e ricordi impellenti. Quarantuno racconti per raccontare una vita, individuale e collettiva, che, popolata di presenze, si fa storia di una famiglia, di un paese, dell’umanità intera. Vicende personali che si fanno universali, attraverso i grandi temi della vita e della morte, e che accomunano l’uomo alla natura, che lo sovrasta e lo ingloba: “Anche oggi ringrazio. Mi sono svegliato questa mattina e ho un altro giorno da vivere, una moltitudine d’istanti di bellezza, alba, montagne, orizzonte, luce, odore di mare e uccelli e riflessioni, alberi e futuro, in attesa di ritornare a farne parte in altre meravigliose forme, forma di basilico, corteccia, fiore, piuma di gabbiano, spuma di mare”.
È la storia di un bambino che scopre il mondo e lo racconta con le sue parole, di un adulto che capisce che di imparare non si smette mai perché la vita ci costringe al dolore e alla sofferenza, superabili con una buona dose di ironia e di autoironia. Il tempo ci scorre addosso e cambia le circostanze dei singoli e, dunque, delle comunità: è un mondo fatto di tradizioni, di racconti e dialetto quello che scompare nell’arco di una vita, spinto dalla corsa della modernità. Un mondo che si riassume in un nonno e in una nonna, agli occhi del bambino due grandi eroi, esperti l’uno di mare, l’altra di cucina. “Il mio mare non è quello dei turisti che fuggono dalle aree metropolitane con le auto cariche, di sdraiette, canotti, secchielli, palette e occhialini da piscina. Il mio mare è quello dei vecchi, è quello di mio nonno. È il mare che gli dava da vivere”. Lo stupore negli occhi del bambino che guarda la nonna impastare è quello dell’essere umano di fronte alla maestosità della vita e del cosmo.
Popolano il paese figure di emarginati costretti e relegati là dove nessuno li sente e li vede: una vecchia professoressa di filosofia, un venditore ambulante cinese, un vicino di casa, uomo che lascia il mondo in silenzio, solo, senza fare rumore. Figure esiliate e invisibili, simboli di una condizione esistenziale, di umanità e saggezza non colta dagli altri.
La vita è raccontata come su di un’altalena, fatta di luci e colori, di musica, di amicizia, di amori e di ombre, di morte, di assenza di senso, di scorrere inesorabile del tempo. E poi il fuoco che avanza, minaccia, brucia e uccide, a cui si contrappone la cura e la rinascita: “Adesso gli alberi e tutte le piante più vicine alla casa hanno ripreso vigore, hanno percepito il mio profondo pentimento, mi vedono come uno di loro. Un giorno si alimenteranno della mia cenere e io sarò in un ramo, in un fiore, in una bacca, radice di un fluire, parte del tutto, vivo, in un nuovo tempo”.
Da un piccolo paese affacciato sul mare, dai colori brillanti dei tetti e delle barche, in cui scalinate e stradine si animano di corse e giochi di bambini, si snoda una vicenda che proietta un bambino alla scoperta della vita, che lo segue crescere e andare sempre più lontano nello spazio esterno ma soprattutto interno, alla ricerca di un senso fatto di risate e riflessioni.