Litigiosi, guerrieri, errabondi: esce per i tipi dei Buoni Cugini la vicenda dei sette figli dello scrittore, avuti da due madri diverse. Massimo Finocchiaro racconta una serie di foto istantanee. A sfogliarle si compone il carattere di un’epoca concitata e nazionalista.
Sette fratelli dalle vite a incastro, che sembrano venir fuori da un romanzo del grande Luigi Natoli. Sono invece i suoi figli carnali, ne “I sette fratelli Natoli. Le vite singolari dei figli di Luigi Natoli tra la Belle Epoque e il secondo dopoguerra in giro per il mondo”. (I Buoni Cugini editori, 337 pagine, 24 euro). Massimo Finocchiaro li racconta con attenta partecipazione e scrive un libro “natoliano”: nel ritagliare il profilo di ogni rampollo ricompone così una saga familiare, e anche uno spaccato storico per niente scontato che costruisce su tracce documentali. E peccato per le sorelle Lidia ed Hedda che non hanno lasciato tracce, limitandosi al ruolo di mogli e madri come come spesso accadeva alle donne.
I sette fratelli Natoli vivono intensamente la loro epoca. Sono stati educati al culto di Mazzini e Garibaldi, combattono tutti e sette nella prima guerra mondiale: in Italia sono solo 725 le famiglie che partecipano al tragico conflitto in misura così massiccia. Aurelio, Miro e Marcello Natoli vanno da volontari, gli altri partono da richiamati e Clodimiro (detto Miro) muore per salvare delle reclute durante un’esercitazione.
I fratelli sono figli di due madri diverse, nel 1890 lo scrittore rimasto vedovo si è risposato e ai primi tre si sono aggiunti gli altri figli: si è formata una famiglia che non riesce a essere unita, sono molti litigiosi e presto i più grandi si allontanano dalla casa paterna. Ma quando si riuniscono, come accadde nel settembre del 1913, può capitare che al nuovissimo cafè-chantant all’aperto, il Trianon, possano assistere all’esibizione dell’esotica Mata Hari in una Palermo dove il liberty più raffinato si esprime anche nei chioschi che fanno da cornice al teatro Massimo.
Le vite dei Natoli raccontate da Massimo Finocchiaro somigliano a una serie di foto istantanee, a sfogliarle si ricompone il carattere di tutta un’epoca concitata con il nazionalismo sempre nell’aria: il volontario Miro, a Parigi allo scoppio della guerra, si arruola nella Legione Straniera ed è assegnato a uno dei due battaglioni italiani, sono più di duemila volontari. Anche il fratello Aurelio, redattore del giornale repubblicano “Il Crepuscolo”, cerca di arruolarsi nell’esercito francese mentre nel frattempo, a Palermo, Luigi Natoli fonda il Comitato Interventista e ne diventa presidente.
I Natoli litigano fra loro ma sono ansiosi di andare a combattere, vogliono servire la patria. Il primo a riuscirci è Romualdo, è sul fronte dell’Isonzo ed è specializzato in esplosivi; viene ferito dallo scoppio di un ordigno, ci rimette una gamba. Il più giovane dei fratelli è il volontario Marcello che quando si arruola non ha nemmeno vent’anni: è un irrequieto, non sopporta la disciplina militare e arriva a rischiare la corte marziale.
Anche a Caporetto, nella battaglia della disfatta italiana, troviamo uno dei fratelli Natoli: è Aurelio, sarà prigioniero. E chi l’avrebbe mai detto che, per decisione del governo, i soldati prigionieri non possono ricevere pacchi dalla famiglia? Solo agli italiani è negato questo conforto e in tanti muoiono di stenti, da prigionieri.
Finita la guerra i Natoli imboccano strade diverse, a volte opposte. Mimmo comincia a lavorare per il “Corriere dei Piccoli” ed esordisce nel novembre del 1918 con un’avventura di Schizzo, il primo personaggio della sua carriera di fumettista. Geppe è nell’ufficio stampa della delegazione italiana alla conferenza di pace, diventerà un confidente: sarà doverosamente equivoco, in epoca fascista finirà per tradire anche suo fratello Marcello, di tutt’altra pasta. Durante la dittatura Marcello viene schedato come “anarchico pericolosissimo” e ricercato dalle polizie di mezza Europa: nel 1946 sarebbe diventato segretario della Federazione palermitana dei perseguitati antifascisti. Un altro fratello, Romualdo, diventa scrittore e scrive “gialli di regime” del tutto ossequiosi, ahimè, anche all’antisemitismo: il suo romanzo di maggior successo s’intitola “Il marchio di Giuda” e trasuda stereotipi.
Idee molto diverse coltiva Aurelio, che è fra i dirigenti del partito repubblicano in esilio: vive in Spagna, specie dopo l’aggressione all’Etiopia scrive sui giornali e, ad esempio, organizza la protesta degli intellettuali spagnoli contro il giuramento al regime dei professori universitari. Allo scoppio della guerra, nel 1939, Aurelio è in Francia: la fuga dall’Europa è da film, al punto che pare avere ispirato il famoso Casablanca. Nel 1946, da capolista dei repubblicani, Aurelio Natoli sarebbe stato eletto in Sicilia per l’Assemblea costituente.
Aurelio forse ispira un film, ma Edgardo è un eroe da romanzo. Nel 1935 è in Etiopia, riesce a diventare factotum al comando di Gimma, duecentocinquanta chilometri al sud di Addis Abeba: deve battere il territorio e procurare cibo per l’esercito. Impara la lingua e comincia una nuova vita. Se ne va in giro con un pitone al collo e una scimmia per mano, è convinto della sua superiorità di bianco ma professa rispetto per il mondo che l’ha accolto e diventa una specie di principe onorato dagli etiopi. Lavora per l’esercito mentre vive come in una bolla sospesa. Saranno le vicende della guerra a costringerlo ad abbandonare il suo effimero paradiso esotico, è l’aprile del 1941 e ad Addis Abeba sono arrivati gli inglesi.
Edgardo entra in clandestinità, aiuta gli italiani, viene catturato, fugge, di nuovo e più volte viene catturato, alla fine della guerra è ancora prigioniero in Rhodesia. Rientra in Italia fra gli ultimi e solo nel gennaio 1947 arriva alla stazione di Palermo. È un reduce che sembra non starci tanto con la testa, la povertà gli impedisce di curare le figlie che undici anni prima ha lasciato bambine. Come in un romanzo del grande Luigi Natoli, l’anarchico principe-straccione che a Gimma dominava anche i serpenti era tornato a casa. Dove tutto era più difficile.
Amelia Crisantino
L’autore dei “Beati Paoli” è un ambasciatore siciliano che adesso sconfina in Bulgaria con la traduzione de L’abate Lanza” scritto in dialetto - di Salvatore Ferlita
La notizia che un editore palermitano abbia scelto di pubblicare degli inediti del più popolare fra gli scrittori siciliani non è certo sorprendente: diventa però singolare non appena ci soffermiamo sui protagonisti, cioè su Luigi Natoli e i Buoni Cugini editori.
Cominciamo con Luigi Natoli, l’uomo che con lo pseudonimo di William Galt fra il maggio 1909 e il gennaio del 1910 pubblicò sul Giornale di Sicilia le 239 puntate de I Beati Paoli, romanzo-fiume che ha attraversato le generazioni divenendo – ha scritto Rosario La Duca nella prefazione all’editore Flaccovio del 1971 – “sillabario e testo sacro, tenuto al capezzale del pater familias che ne leggeva i diversi capitoli a parenti e vicini”.
I Beati Paoli si riversano nei successivi Coriolano della Floresta e Calvello il bastardo, realizzando così una bella trilogia che trasforma le antiche leggende sulle sette segrete in epopea letteraria misteriosa e avvincente. Grazie allo sfondo rigorosamente documentato, I Beati Paoli si affermano come personaggi “quasi” storici che aderiscono al sentimento popolare in tutte le sue espressioni.
Natoli è poliedrico, i romanzi famosi sono soltanto la prima pattuglia di una produzione sterminata che spazia dalla narrativa ai libri scolastici, ai saggi, agli articoli e ai lavori teatrali. Testi sempre di ottimo successo, ma non sempre stampati in volume, e a parte gli articoli anche alcuni romanzi furono pubblicati solo in appendice sul “Sicilia”.
Ed ecco l’editore palermitano, cioè lo scrittore Ivo Tiberio Ginevra che nel 2014 decide di fondare una nuova casa editrice all’insegna del recupero della memoria. Il primo autore di questa “letteratura dimenticata” è Luigi Natoli con Braccio di ferro. Avventure di un carbonaro, che fa parte di un ciclo di tre romanzi oggi misconosciuti dedicati al Risorgimento in Sicilia. Il nome della casa editrice viene scelto prendendo in prestito un dialogo dello stesso Natoli in Braccio di ferro: “Che cosa siamo noi? Degli schiavi. Che cosa vogliamo essere? Uomini liberi. Questo è il fine comune di tutti i Buoni Cugini sparsi nel mondo”.
I Buoni Cugini editori pescano a piene mani nelle opere di Natoli: pubblicano opere inedite o dimenticate, precisando che si tratta di trascrizioni da manoscritti o dal “Giornale di Sicilia” dove sono uscite a puntate.
Le opere teatrali in ultimo pubblicate sono raccolte in due volumi, Cappa di Piombo per i lavori in italiano e Suruzza per quelli in dialetto: sono inediti che ai loro tempi hanno comunque avuto notevole popolarità, e la puntuale introduzione a Cappa di Piombo firmata da Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra ne dà minutamente conto. Così apprendiamo che talvolta Natoli leggeva personalmente i suoi lavori teatrali al Circolo di Cultura e l’indomani il giornale ne dava notizia: ad esempio il pomeriggio del 24 aprile 1911 Natoli legge Suruzza a “un pubblico eletto di signore eleganti e intellettuali” che apprezzano i quattro atti di un dramma inconsueto, “niente che si rassomigli al teatro siciliano tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta”. Suruzza racconta piuttosto un dramma familiare: un uomo s’è arricchito facendo l’usuraio e diventa l’arbitro dei poveri destini dei suoi paesani, ma a contrastarlo trova il figlio di un parente da lui rovinato. Come sempre avviene nei grandi romanzi di Natoli, anche in Suruzza troviamo l’intreccio tra fatti privati e vita pubblica che rende tanto più verosimile l’azione scenica.
Il Natoli pubblicato dai Buoni Cugini – sempre con copertine e illustrazioni di Niccolò Pizzorno – è spesso sorprendente, almeno per chi lo ha conosciuto soltanto come l’autore della trilogia dei Beati Paoli. Ci sono libri come I cavalieri della Stella o la caduta di Messina, che in 954 pagine riuniscono le 154 puntate pubblicate in appendice per raccontare la rivolta che per cinque anni dal 1672 insanguina la città: lavoro risalente al 1908, l’anno del terremoto che distrusse la città sullo stretto.
Un altro romanzo, Ferrazzano, uscito dal novembre 1932 sempre in appendice, racconta dell’omonimo attore comico del Settecento di cui si sa ben poco e Natoli gioca in casa, sciorina tutta la sua maestosa competenza sul diciottesimo secolo siciliano fatto di duchi e di principi e cavalier serventi che agiscono sulla massa del popolino, alternando da maestro realtà e fantasia.
C’è un romanzo pubblicato sempre a puntate dal febbraio 1926, I mille e un duelli del bel Torralba, ambientato nella Palermo del primo ‘800 con un protagonista, Fabrizio, secondogenito al tempo in cui ogni ricchezza veniva destinata al primo nato. Ma Natoli non è scrittore da rimanere ancorato alle atmosfere siciliane, vuole spaziare.
Ed ecco Alla guerra, presentato come “drammaticissimo romanzo” è la fedele ricostruzione di quanto uscito in appendice dal 19 ottobre 1914, per la bellezza di 204 puntate che si sono oggi trasformate in 954 pagine: un romanzo che racconta una storia d’amore ambientata lontano dalla Sicilia, in una Francia aggredita che respinge l’avanzata tedesca e che certo ci restituisce l’atmosfera carica di ardente idealismo che porta tanti volontari a partire per la guerra.
Fra i lavori teatrali, il dramma più inaspettato e del tutto inedito è Il numero 570 che riprende l’atmosfera del romanzo Alla guerra: ambientato al fronte durante la prima guerra mondiale, contrappone la barbarie straniera – in questo caso austriaca – alla fierezza italiana e certo risente del clima ideologico della Grande guerra.
Poiché la produzione di Natoli è molto vasta c’è molto da apprezzare e c’è anche un inedito ancora disperso, rappresentato al Teatro Biondo il 7 marzo 1910 naturalmente con grande successo: è la versione teatrale de I Beati Paoli, riduzione dello stesso Natoli, messa in scena dalla compagnia Renzi e Gabrielli senza badare a spese. Opera non ancora ritrovata, ma le ricerche dei Buoni Cugini continuano.
"L'editore I Buoni Cugini specializzato nei testi dello scrittore palermitano, pubblica una raccolta di drammi oltre a romanzi apparsi in appendice"
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