Articolo pubblicato su La Repubblica del 30 aprile 2023
dalla giornalista Amelia Crisantino

Massimo Finocchiaro: I sette fratelli Natoli

Dall'articolo di Amelia Crisantino su La Repubblica:
LA SAGA DEI NATOLI ROMANZO DI VITA 

Litigiosi, guerrieri, errabondi: esce per i tipi dei Buoni Cugini la vicenda dei sette figli dello scrittore, avuti da due madri diverse. Massimo Finocchiaro racconta una serie di foto istantanee. A sfogliarle si compone il carattere di un’epoca concitata e nazionalista. 

Sette fratelli dalle vite a incastro, che sembrano venir fuori da un romanzo del grande Luigi Natoli. Sono invece i suoi figli carnali, ne “I sette fratelli Natoli. Le vite singolari dei figli di Luigi Natoli tra la Belle Epoque e il secondo dopoguerra in giro per il mondo”. (I Buoni Cugini editori, 337 pagine, 24 euro). Massimo Finocchiaro li racconta con attenta partecipazione e scrive un libro “natoliano”: nel ritagliare il profilo di ogni rampollo ricompone così una saga familiare, e anche uno spaccato storico per niente scontato che costruisce su tracce documentali. E peccato per le sorelle Lidia ed Hedda che non hanno lasciato tracce, limitandosi al ruolo di mogli e madri come come spesso accadeva alle donne.

I sette fratelli Natoli vivono intensamente la loro epoca. Sono stati educati al culto di Mazzini e Garibaldi, combattono tutti e sette nella prima guerra mondiale: in Italia sono solo 725 le famiglie che partecipano al tragico conflitto in misura così massiccia. Aurelio, Miro e Marcello Natoli vanno da volontari, gli altri partono da richiamati e Clodimiro (detto Miro) muore per salvare delle reclute durante un’esercitazione.

I fratelli sono figli di due madri diverse, nel 1890 lo scrittore rimasto vedovo si è risposato e ai primi tre si sono aggiunti gli altri figli: si è formata una famiglia che non riesce a essere unita, sono molti litigiosi e presto i più grandi si allontanano dalla casa paterna. Ma quando si riuniscono, come accadde nel settembre del 1913, può capitare che al nuovissimo cafè-chantant all’aperto, il Trianon, possano assistere all’esibizione dell’esotica Mata Hari in una Palermo dove il liberty più raffinato si esprime anche nei chioschi che fanno da cornice al teatro Massimo.

Le vite dei Natoli raccontate da Massimo Finocchiaro somigliano a una serie di foto istantanee, a sfogliarle si ricompone il carattere di tutta un’epoca concitata con il nazionalismo sempre nell’aria: il volontario Miro, a Parigi allo scoppio della guerra, si arruola nella Legione Straniera ed è assegnato a uno dei due battaglioni italiani, sono più di duemila volontari. Anche il fratello Aurelio, redattore del giornale repubblicano “Il Crepuscolo”, cerca di arruolarsi nell’esercito francese mentre nel frattempo, a Palermo, Luigi Natoli fonda il Comitato Interventista e ne diventa presidente.

I Natoli litigano fra loro ma sono ansiosi di andare a combattere, vogliono servire la patria. Il primo a riuscirci è Romualdo, è sul fronte dell’Isonzo ed è specializzato in esplosivi; viene ferito dallo scoppio di un ordigno, ci rimette una gamba. Il più giovane dei fratelli è il volontario Marcello che quando si arruola non ha nemmeno vent’anni: è un irrequieto, non sopporta la disciplina militare e arriva a rischiare la corte marziale.

Anche a Caporetto, nella battaglia della disfatta italiana, troviamo uno dei fratelli Natoli: è Aurelio, sarà prigioniero. E chi l’avrebbe mai detto che, per decisione del governo, i soldati prigionieri non possono ricevere pacchi dalla famiglia? Solo agli italiani è negato questo conforto e in tanti muoiono di stenti, da prigionieri.

Finita la guerra i Natoli imboccano strade diverse, a volte opposte. Mimmo comincia a lavorare per il “Corriere dei Piccoli” ed esordisce nel novembre del 1918 con un’avventura di Schizzo, il primo personaggio della sua carriera di fumettista. Geppe è nell’ufficio stampa della delegazione italiana alla conferenza di pace, diventerà un confidente: sarà doverosamente equivoco, in epoca fascista finirà per tradire anche suo fratello Marcello, di tutt’altra pasta. Durante la dittatura Marcello viene schedato come “anarchico pericolosissimo” e ricercato dalle polizie di mezza Europa: nel 1946 sarebbe diventato segretario della Federazione palermitana dei perseguitati antifascisti. Un altro fratello, Romualdo, diventa scrittore e scrive “gialli di regime” del tutto ossequiosi, ahimè, anche all’antisemitismo: il suo romanzo di maggior successo s’intitola “Il marchio di Giuda” e trasuda stereotipi.

Idee molto diverse coltiva Aurelio, che è fra i dirigenti del partito repubblicano in esilio: vive in Spagna, specie dopo l’aggressione all’Etiopia scrive sui giornali e, ad esempio, organizza la protesta degli intellettuali spagnoli contro il giuramento al regime dei professori universitari. Allo scoppio della guerra, nel 1939, Aurelio è in Francia: la fuga dall’Europa è da film, al punto che pare avere ispirato il famoso Casablanca. Nel 1946, da capolista dei repubblicani, Aurelio Natoli sarebbe stato eletto in Sicilia per l’Assemblea costituente.

Aurelio forse ispira un film, ma Edgardo è un eroe da romanzo. Nel 1935 è in Etiopia, riesce a diventare factotum al comando di Gimma, duecentocinquanta chilometri al sud di Addis Abeba: deve battere il territorio e procurare cibo per l’esercito. Impara la lingua e comincia una nuova vita. Se ne va in giro con un pitone al collo e una scimmia per mano, è convinto della sua superiorità di bianco ma professa rispetto per il mondo che l’ha accolto e diventa una specie di principe onorato dagli etiopi. Lavora per l’esercito mentre vive come in una bolla sospesa. Saranno le vicende della guerra a costringerlo ad abbandonare il suo effimero paradiso esotico, è l’aprile del 1941 e ad Addis Abeba sono arrivati gli inglesi.

Edgardo entra in clandestinità, aiuta gli italiani, viene catturato, fugge, di nuovo e più volte viene catturato, alla fine della guerra è ancora prigioniero in Rhodesia. Rientra in Italia fra gli ultimi e solo nel gennaio 1947 arriva alla stazione di Palermo. È un reduce che sembra non starci tanto con la testa, la povertà gli impedisce di curare le figlie che undici anni prima ha lasciato bambine. Come in un romanzo del grande Luigi Natoli, l’anarchico principe-straccione che a Gimma dominava anche i serpenti era tornato a casa. Dove tutto era più difficile.

Amelia Crisantino


L’autore dei “Beati Paoli” è un ambasciatore siciliano che adesso sconfina in Bulgaria con la traduzione de L’abate Lanza”

Grazie alla traduttrice Daniela Ilieva l'opera inedita in dialetto siciliano di Luigi Natoli "L'abate Lanza" (fa parte del volume "Suruzza!" che raccoglie tutte le opere teatrali in dialetto siciliano) è stata tradotta in bulgaro e pubblicata in Bulgaria da una casa editrice impronunciabile per noi italiani, ma che ringraziamo di cuore anche a nome dell'illustre autore, che da lassù sarà ben felice di avere dei lettori bulgari. 
Una gioia immensa per noi editori, che dall'antico manoscritto dell'autore abbiamo ricostruito l'opera inedita in siciliano... vederla tradotta in Bulgaro è incredibile.
Ringraziamo Daniela Ilieva e tutti i lettori bulgari che si interessano a Luigi Natoli e alle sue opere.

Il teatro del popolino

Dall'articolo di Salvatore Ferlita su La Repubblica:
Un copione per i pupi. Natoli a tutto campo

L’autore dei “Beati Paoli” è un ambasciatore siciliano che adesso sconfina in Bulgaria con la traduzione de L’abate Lanza” scritto in dialetto - di  Salvatore Ferlita 

Se Luigi Natoli oggi fosse vivo e vegeto (ragionando per assurdo, con buona pace degli storici) non ci penserebbe due volte a riconvertirsi in scrittore di sceneggiature e storie per le serie tv. Sarebbe di certo concupito dai boss di Netflix e compagnia bella, e prenderebbe ogni mese un volo per la California al fine di apporre la firma sull’ennesimo contratto di produzione. Esagerazioni a parte, davvero l’autore dei “Beati Paoli” di cui ricorre l’ottantesimo anniversario della morte, con suoi romanzi a puntate è da annoverare tra gli anticipatori della scrittura seriale contemporanea. Oltretutto, per la mole della produzione (che fa venire in mente i nomi di Georges Simenon e di Agatha Christie), per la popolarità di cui godette, per lo slancio fisiologico della sua affabulazione, possiamo considerare Natoli una sorta di Ur-Camilleri, la sua preconizzazione in terra di Sicilia. Assieme a Luigi Pirandello poi, lo scrittore e storiografo palermitano va inserito tra i più illustri ambasciatori della Sicilia nel mondo: è di pochi giorni fa la notizia che “L’abate Lanza”, opera teatrale di Natoli scritta in dialetto, a breve vedrà la luce in bulgaro: è il risultato di una vera e propria, impensabile, vertigine linguistica.
“L’abate Lanza”, fino a poco tempo fa rimasto inedito, è stato pubblicato di recente da “I Buoni Cugini editori”, la premiata ditta dell’editoria palermitana formata da Ivo Tiberio Ginevra e dalla moglie Anna Squatrito. I quali, giusto sette anni fa, hanno messo su una casa editrice per riportare alla luce le opere condannate ingiustamente all’oblìo. Nel loro catalogo su tutti troneggia il nome di Natoli, del quale hanno visto la luce più di trenta volumi.
È in dirittura d’arrivo, sempre per i tipi dei “Buoni Cugini”, una vera chicca: si intitola “Il teatro del popolino. Scritti sull’Opera dei Pupi” di Luigi Natoli e di Giuseppe Pitrè: quest’ultimo, più anziano di qualche anno, utilizzò sempre un tono di reverenza nel fitto epistolario che intrattenne con l’amico e sodale. Al grande medico, scrittore ed etnologo del resto Natoli non di rado si rivolgeva, apostrofandolo il “dottorissimo”, per ottenere credenziali al fine di poter frequentare le biblioteche delle tante città italiane dove insegnò o per chiedere un appoggio per l’approvazione di una delle sue tante grammatiche e successivamente per l’adozione nelle scuole. Il volume in questione allineerà pure un copione scritto da Natoli per l’opera dei pupi, originariamente inserito nel romanzo “Fioravante e Rizzeri” (1936).
E in cantiere i coniugi editori hanno altri titoli: in preparazione infatti è il volume delle poesie edite e inedite, da tempo difficilmente reperibili. I versi di Natoli, non dimentichiamolo, furono apprezzati, tra gli altri, da Mario Rapisardi e da Giuseppe Pipitone Federico, palati assai fini in materia poetica. Ne sta dunque venendo fuori davvero un’operazione ciclopica, che offre la ghiotta opportunità di riconsiderare finalmente la figura di questo autore prolifico, troppo sbrigativamente liquidato come quello dei “Beati Paoli”.
Garibaldino già in fasce e mazziniano convinto, Natoli dedicò tutta la sua vita alla scrittura (una specie di mostro che, ingordo, pian piano lo ha fagocitato: fu, infatti, scrittore, giornalista, romanziere, poeta, commediografo, critico letterario e filologo), e all’insegnamento, che praticò in modo erratico, costretto a far presto armi e bagagli e a spostarsi da una sede all’altra perché assai malvisto dal fascismo: fu pure trasferito a Sassari passando per Pisa, Napoli, percorrendo le stazioni di una sorta di via crucis. Si mostrò ben presto particolarmente eclettico, firmando saggi critici, antologie poetiche, scritti di storia dell’arte, opere storiografiche, ma soprattutto racconti (se ne contano più di trecento) e una trentina di romanzi, quasi tutti pubblicati a puntate sui quotidiani, in particolare sul “Giornale di Sicilia”.

Natoli appartiene all’illustre schiera degli autori di feuilleton: manipolo di alto lignaggio, se si pensa che in esso militarono, prima di lui, scrittori del calibro di Balzac, Dickens, Dumas. La cadenza settimanale, la pubblicazione su una testata giornalistica agevolavano il processo di fidelizzazione di un numero sempre più vasto di lettori (che nelle portinerie umide e buie di Palermo, si racconta, computavano a voce alta l’appendice di avventure fresche d’inchiostro per metterle alla portata di tutti): per Natoli era legittimo scrivere per tutti e non per una minoranza. Si avviò così un processo di inarrestabile consacrazione: nessuno era disposto a perdere una puntata delle sue storie, le più varie, le più romanzesche, seppur proiettate su un fondale ben ricostruito: “Era uno storico con le carte in regola” per Leonardo Sciascia, ma anche “uno scrittore efficace, un narratore tecnicamente accorto. Si può dire senz’altro uno scrittore buono, se dopo tanti anni e dopo aver “bevuto in tante altre cantine”, prendendo in mano un suo libro e cominciando a leggerlo, ecco che ci troviamo costretti a finirlo. Da “Calvello il bastardo” a “La vecchia dell’aceto”, da Cagliostro e le sue avventure” a “La baronessa di Carini”, che a maggio uscirà in una nuova edizione illustrata per i tipi della casa editrice catanese Lunaria. Per non dire di altri romanzi meno noti, come “Gli ultimi saraceni”, “Alla guerra!”, “Squarcialupo”, “Il capitan Terrore”, “Gli Schiavi” che Natoli considerava l’opera più importante. Ma sappiamo invece che la sua vocazione letteraria fu consacrata dalla pubblicazione dei “Beati Paoli”, di certo tra le storie più riuscite che gli si devono, suggestive e insieme misteriose, per via anche del fascino antico della leggenda popolare da cui l’autore prese le mosse. Le imprese dell’oscura società segreta che nella Palermo di fine Seicento prendeva le difese degli oppressi alla lunga ha oscurato una produzione molto vasta e soprattutto variegata, rispetto alla quale però, alla fine, si ha la netta sensazione di avere sotto gli occhi un unico, sorprendente, smisurato testo, letto qua e là: ne consegue che i titoli sovente si confondono un po’ tutti, ma non c’è un solo libro che possa essere definito un vero capolavoro.
di Salvatore Ferlita

Collana dedicata alle opere di Luigi Natoli

Dall'articolo di Salvatore Ferlita su La Repubblica: L'officina Natoli un tesoro di testi oltre i Beati Paoli 

LA RISCOPERTA DELL'OPERA OMNIA AL DI LA' DEI ROMANZI POPOLARI - di Salvatore Ferlita.
In latino si dice "auctor unius libri", definizione che tradotta significa "autore di un solo libro". E che si attaglia perfettamente al destino letterario di Luigi Natoli, al quale si deve un'opera che è diventata celebre in modo spropositato rispetto alle altre, tanto da averle oscurate, relegandole in un cono d'ombra. Per cui quella di autore dei "Beati Paoli", uno dei più famosi romanzi popolari italiani e certamente il più rinomato in Sicilia, suona oggi come un'etichetta riduttiva, a tratti quasi dannosa. Quello di Natoli (che col nome di Maurus firmava la rubrica "Storie e Leggende", mentre con quello di William Galt i romanzi) è un vero e proprio arcipelago letterario: occorre dunque cercare altri ingressi, altre vie di passaggio per riconsiderare la sua parabola di poligrafo, passando al vaglio una produzione vasta e soprattutto variegata. E, per certi versi, in parte ancora sommersa. A offrire oggi una risolutiva porta d'accesso al laboratorio creativo dell'autore di "Calvello il bastardo" sono "I Buoni Cugini editori"; Ivo Tiberio Ginevra e sua moglie Anna Squatrito, che sei anni fa hanno messo su una casa editrice con l'intento di riportare alla luce le opere.
L'operazione dell'editore I Buoni Cugini segue un criterio filologico, trascrivendo dalle fonti originali dimenticate. Il loro catalogo allinea diversi nomi, ma su tutti troneggia quello di Natoli, del quale ha appena visto la luce un inedito, "Palermo al tempo degli spagnoli, 1500-1700". Si tratta della ventinovesima pubblicazione che riguarda lo scrittore, storico, poeta, commediografo e critico letterario palermitano nato nel 1857, che dedicò tutta la sua vita alla scrittura, guidato soltanto dal piacere di essa.
Per dar forma oggi a un ritratto di Natoli che possa essere veritiero e circostanziato, non si può non tener conto dell'avventura editoriale di Ginevra e Squatrito, i quali sembrano posseduti dal demone dell'autore. Come spesso accade, tutto è cominciato quasi per caso: una giornata come tante in emeroteca, alla ricerca di un articolo che riguardava il Palermo calcio ai tempi del fascismo. A un certo punto salta all'occhio una puntata del romanzo "Fioravante e Rizzeri" pubblicata dal Giornale di Sicilia nel 1935. La casa editrice Madonnina, che l'aveva riunito in volume, lo dava come un romanzo postumo quando invece era uscito mentre Natoli era ancora in vita. Si tratta dell'unico romanzo con una prefazione dell'autore: ogni puntata, spiega Ginevra, era corretta da Natoli in persona. Da lì scatta l'operazione verità: recuperare tutte le puntate, collezionarle con le pagine del volume edito dalla Madonnina dieci anni dopo la morte di Natoli. Vengono fuori tagli significativi apportati alla storia, correzioni di un certo peso. Gran parte delle sue opere era stata modificata e poi edita. A colpire, tra l'altro, è la presenza massiccia di gerundi, una forma verbale invisa a Natoli, quasi mai utilizzata. Da lì prende l'abbrivio il progetto titanico di dedicare una collana all'autore e di ristamparne tutta quanta la sua produzione. Ma con un approccio finalmente filologico: le opere infatti sono tratte dalle fonti originali, quindi dai giornali e dai libri dell'epoca in cui lo scrittore era ancora in vita, e trascritte manualmente di sana pianta. Il recupero spesso si è rivelato accidentato: la ricerca ha dovuto fare i conti con l'illeggibilità delle pagine dei giornali dell'epoca, per cui è stato necessario setacciare le biblioteche nazionali. Come nel caso di uno dei veri capolavori di Natoli, ossia "Alla guerra", un romanzo fiume composto ex novo parola per parola, pagina per pagina. L'entusiasmo ha la meglio sulla fatica dell'operazione: Ginevra e Squatrito accarezzano l'idea di liberare Natoli dal suo cartellino ingombrante, ossia quello dei "Beati Paoli".
"Opera di certo arcinota ma che ha goduto soprattutto del favore del popolino", spiega Ginevra. E che adesso deve fare spazio anche ad altri romanzi ancora misconosciuti: "Gli schiavi" ad esempio, che presenta una storia debole dal punto di vista del plot ma è il frutto di una ricerca storica pazzesca. le vicende in esso narrate si svolgono al tempo delle seconde guerre servili: Natoli ricostruisce l'ambientazione siculo-romana con straordinaria efficacia. Tutto questo va considerato in un tempo in cui di internet non c'era manco l'ombra.
La ripubblicazione delle opere di Natoli prevede anche, in certi casi, l'inserimento di scritti dimenticati o addirittura inediti. Nel romanzo dedicato alla figura dell'abate Meli si trova adesso, nell'edizione dei Buoni Cugini, lo studio compiuto da Natoli sulla poetica dell'autore de "La fata galante". Nel caso di titoli particolarmente conosciuti, come "La vecchia dell'aceto", occorre specificare che la nuova edizione propone una versione del romanzo fedele all'originale: ci sono differenze abissali rispetto alle precedenti edizioni uscite per i tipi di diverse case editrice (da La Madonnina a Flaccovio) Per non dire de "I morti tornano", il romanzo più violentato dal punto di vista editoriale, ora riconsegnato alla sua verità. Ma nel corso di sei anni di attività dei Buoni Cugini ha visto la luce pure la produzione teatrale di Natoli: cinque opere in lingua e in dialetto, una di queste anticipa addirittura tematiche pirandelliane. Il siciliano di Natoli è cangiante, mimetico: ora garbato e colto, come ne "L'abate Lanza", ora volutamente sguaiato, come dimostra la commedia "Quattru cani supra un ossu".
Per la prima volta, dunque, si può prendere in considerazione il Natoli drammaturgo. E che dire del poeta? A fine giugno approderanno in libreria tutti i suoi versi, rimasti fino a oggi inediti. Poi sarà la volta dei racconti, dei discorsi, delle commemorazioni, degli articoli: tantissimi, nei quali spesso Natoli se la prendeva col sindaco della città.
Ne viene fuori un autore che ha scritto tanto, giorno e notte, quasi per coazione, su tutto quello che gli capitava sottomano: fogli di carta di uffici anagrafici, il retro dei registri di classe. Quando passò alla macchina da scrivere era costretto a lavorare coi nastri scarichi: a volte i tasti erano compromessi, finito l'inchiostro le lettere rimanevano impresse sulla carta per forza piegata. A testimoniare quasi il suo corpo a corpo con la scrittura.

Salvatore Ferlita
Palermo al tempo degli Spagnoli 1500-1700

Dall'articolo di Amelia Crisantino su La Repubblica:
La Palermo spagnola, un inedito di Natoli svela i veti dei vescovi 

Appena pubblicato, ecco arrivare l’ultimo di Luigi Natoli: il titolo è impegnativo, Palermo al tempo degli Spagnoli, 1500-1700 (I Buoni Cugini editori, 296 pagine, 20 euro) ma lo stile è limpido e il saggio quasi si trasforma in romanzo, se fosse un esordiente sarebbe di belle speranze. Siamo però davanti all’inedito di uno dei più grandi scrittori siciliani, ed è davvero meritoria l’impresa di questa piccola casa editrice che ha scelto di pubblicare tutto Natoli in versione originale. Per Palermo al tempo degli Spagnoli abbiamo la “ricostruzione fedele del manoscritto, senza data”: non resta che accogliere fiduciosi un autore che mai delude, e non appena si comincia a leggere si continua spediti fino alla fine.
Per Gabriello Montemagno che ne ha pubblicato l’unica biografia, Luigi Natoli è L’uomo che inventò i Beati Paoli: basta tanto per entrare di diritto fra i grandi autori popolari, quelli che una volta piazzati nell’immaginario collettivo mettono in moto dinamiche inaspettate, sempre difficili da controllare. Natoli è autodidatta come tutti i grandi siciliani, di famiglia repubblicana e anticlericale, autonomista che si firma William Galt perché convinto che con uno pseudonimo straniero avrebbe avuto più fortuna. È un grande lavoratore, deve mantenere una dozzina di figli ed è incalzato dal bisogno: lo stesso rifiuta la commenda offertagli da Mussolini e la rappresaglia scatta immediata. Natoli viene licenziato dal modesto posto di insegnante, è messo a riposo “per incapacità”. Ma non è uomo da perdersi d’animo.
Era nato nel 1857, a 17 anni aveva cominciato a collaborare coi giornali e anche i suoi romanzi escono a puntate sul Giornale di Sicilia: col nome di Maurus firma la rubrica “Storie e leggende”, come William Galt firma i romanzi. E Montemagno, che ha potuto raccogliere il racconto delle figlie, scrive come tutti i momenti fossero buoni per lavorare. Capitava che il commesso inviato dal giornale quasi gli strappasse i fogli di mano per correre in tipografia: ma trentuno romanzi, centinaia di articoli storici, decine di volumi per le scuole non bastano a dargli la tranquillità economica. Nel testamento datato 15 giugno 1937 – che si può leggere nel sito dei Buoni Cugini editori – Natoli scrive: “Ho lavorato molto e non ho tratto dal mio lavoro che scarso profitto… del mio lavoro non cercai la parte commerciale ma solo la gioia che mi procurava. Perciò son povero”.
La Sicilia al tempo degli Spagnoli risponde in pieno agli standard piuttosto elevati della produzione di Luigi Natoli, anche questo inedito è stato “scritto con gioia”. Il manoscritto non è datato: ma se consideriamo che i Beati Paoli si muovono nel trentennio 1698/1728 e che la padronanza della topografia di Palermo e degli avvenimenti, anche minimi, è uno dei caratteri identitari di quelle pagine, facilmente questo inedito si inserisce in quella “età di Natoli” che da metà Cinquecento si dilata per oltre due secoli. Stavolta non ci sono ingiustizie da vendicare e complotti da sventare.
La grande protagonista è Palermo, la città dalle molteplici personalità che affascina lo scrittore mai stanco di rievocarne splendori e miserie. La puntigliosa bibliografia finale mostra quanto lavoro ci sia dietro i brevi capitoli dal tono brillante: la semplicità di Natoli è solo apparente, è la stessa semplicità del pianista che dopo anni di studio improvvisa come se niente fosse. E spesso la “gioia” dello scrittore si comunica al lettore, nell’atmosfera serena che in fondo pervade ogni pagina si finisce per sorridere.
Ad esempio, l’anticlericale Natoli riepiloga le vicissitudini dei sedici arcivescovi avuti da Palermo in due secoli ed elenca le proibizioni da loro emanate: “stabilirono che le donne non dovevano sedersi in terra per confessarsi, e obbedirono tutte quante”. Ma stavolta, nonostante i divieti reiterati, “le vedove si sposavano a gloria di Dio”.

Amelia Crisantino

Dall'articolo di Amelia Crisantino su La Repubblica:
Non solo "Beati Paoli" 
Gli inediti di Natoli scritti per il teatro 

La notizia che un editore palermitano abbia scelto di pubblicare degli inediti del più popolare fra gli scrittori siciliani non è certo sorprendente: diventa però singolare non appena ci soffermiamo sui protagonisti, cioè su Luigi Natoli e i Buoni Cugini editori.

Cominciamo con Luigi Natoli, l’uomo che con lo pseudonimo di William Galt fra il maggio 1909 e il gennaio del 1910 pubblicò sul Giornale di Sicilia le 239 puntate de I Beati Paoli, romanzo-fiume che ha attraversato le generazioni divenendo – ha scritto Rosario La Duca nella prefazione all’editore Flaccovio del 1971 – “sillabario e testo sacro, tenuto al capezzale del pater familias che ne leggeva i diversi capitoli a parenti e vicini”.

I Beati Paoli si riversano nei successivi Coriolano della Floresta e Calvello il bastardo, realizzando così una bella trilogia che trasforma le antiche leggende sulle sette segrete in epopea letteraria misteriosa e avvincente. Grazie allo sfondo rigorosamente documentato, I Beati Paoli si affermano come personaggi “quasi” storici che aderiscono al sentimento popolare in tutte le sue espressioni.

Natoli è poliedrico, i romanzi famosi sono soltanto la prima pattuglia di una produzione sterminata che spazia dalla narrativa ai libri scolastici, ai saggi, agli articoli e ai lavori teatrali. Testi sempre di ottimo successo, ma non sempre stampati in volume, e a parte gli articoli anche alcuni romanzi furono pubblicati solo in appendice sul “Sicilia”.

Ed ecco l’editore palermitano, cioè lo scrittore Ivo Tiberio Ginevra che nel 2014 decide di fondare una nuova casa editrice all’insegna del recupero della memoria. Il primo autore di questa “letteratura dimenticata” è Luigi Natoli con Braccio di ferro. Avventure di un carbonaro, che fa parte di un ciclo di tre romanzi oggi misconosciuti dedicati al Risorgimento in Sicilia. Il nome della casa editrice viene scelto prendendo in prestito un dialogo dello stesso Natoli in Braccio di ferro: “Che cosa siamo noi? Degli schiavi. Che cosa vogliamo essere? Uomini liberi. Questo è il fine comune di tutti i Buoni Cugini sparsi nel mondo”.

I Buoni Cugini editori pescano a piene mani nelle opere di Natoli: pubblicano opere inedite o dimenticate, precisando che si tratta di trascrizioni da manoscritti o dal “Giornale di Sicilia” dove sono uscite a puntate.

Le opere teatrali in ultimo pubblicate sono raccolte in due volumi, Cappa di Piombo per i lavori in italiano e Suruzza per quelli in dialetto: sono inediti che ai loro tempi hanno comunque avuto notevole popolarità, e la puntuale introduzione a Cappa di Piombo firmata da Anna Squatrito e Ivo Tiberio Ginevra ne dà minutamente conto. Così apprendiamo che talvolta Natoli leggeva personalmente i suoi lavori teatrali al Circolo di Cultura e l’indomani il giornale ne dava notizia: ad esempio il pomeriggio del 24 aprile 1911 Natoli legge Suruzza a “un pubblico eletto di signore eleganti e intellettuali” che apprezzano i quattro atti di un dramma inconsueto, “niente che si rassomigli al teatro siciliano tutto fondato sulla mafia, sulle coltellate, sulla vendetta”. Suruzza racconta piuttosto un dramma familiare: un uomo s’è arricchito facendo l’usuraio e diventa l’arbitro dei poveri destini dei suoi paesani, ma a contrastarlo trova il figlio di un parente da lui rovinato. Come sempre avviene nei grandi romanzi di Natoli, anche in Suruzza troviamo l’intreccio tra fatti privati e vita pubblica che rende tanto più verosimile l’azione scenica.

Il Natoli pubblicato dai Buoni Cugini – sempre con copertine e illustrazioni di Niccolò Pizzorno – è spesso sorprendente, almeno per chi lo ha conosciuto soltanto come l’autore della trilogia dei Beati Paoli. Ci sono libri come I cavalieri della Stella o la caduta di Messina, che in 954 pagine riuniscono le 154 puntate pubblicate in appendice per raccontare la rivolta che per cinque anni dal 1672 insanguina la città: lavoro risalente al 1908, l’anno del terremoto che distrusse la città sullo stretto.

Un altro romanzo, Ferrazzano, uscito dal novembre 1932 sempre in appendice, racconta dell’omonimo attore comico del Settecento di cui si sa ben poco e Natoli gioca in casa, sciorina tutta la sua maestosa competenza sul diciottesimo secolo siciliano fatto di duchi e di principi e cavalier serventi che agiscono sulla massa del popolino, alternando da maestro realtà e fantasia.

C’è un romanzo pubblicato sempre a puntate dal febbraio 1926, I mille e un duelli del bel Torralba, ambientato nella Palermo del primo ‘800 con un protagonista, Fabrizio, secondogenito al tempo in cui ogni ricchezza veniva destinata al primo nato. Ma Natoli non è scrittore da rimanere ancorato alle atmosfere siciliane, vuole spaziare.

Ed ecco Alla guerra, presentato come “drammaticissimo romanzo” è la fedele ricostruzione di quanto uscito in appendice dal 19 ottobre 1914, per la bellezza di 204 puntate che si sono oggi trasformate in 954 pagine: un romanzo che racconta una storia d’amore ambientata lontano dalla Sicilia, in una Francia aggredita che respinge l’avanzata tedesca e che certo ci restituisce l’atmosfera carica di ardente idealismo che porta tanti volontari a partire per la guerra.

Fra i lavori teatrali, il dramma più inaspettato e del tutto inedito è Il numero 570 che riprende l’atmosfera del romanzo Alla guerra: ambientato al fronte durante la prima guerra mondiale, contrappone la barbarie straniera – in questo caso austriaca – alla fierezza italiana e certo risente del clima ideologico della Grande guerra.

Poiché la produzione di Natoli è molto vasta c’è molto da apprezzare e c’è anche un inedito ancora disperso, rappresentato al Teatro Biondo il 7 marzo 1910 naturalmente con grande successo: è la versione teatrale de I Beati Paoli, riduzione dello stesso Natoli, messa in scena dalla compagnia Renzi e Gabrielli senza badare a spese. Opera non ancora ritrovata, ma le ricerche dei Buoni Cugini continuano.

"L'editore I Buoni Cugini specializzato nei testi dello scrittore palermitano, pubblica una raccolta di drammi oltre a romanzi apparsi in appendice" 

Amelia Crisantino 

Gli inediti di Natoli scritti per il teatro